Cheto cheese-cake giapponese

Qualche settimana fa mi sono imbattuta in un video che mostrava la realizzazione di un dolce giapponese molto alto, sofficissimo e spugnoso, simile per aspetto al pan di Spagna ma talmente umido da ondeggiare come un budino. Ero un tantino incredula, perché la ricetta era costituita da un’altissima quantità di uova e avevo il sospetto che, raffreddandosi, il dolce non potesse rimanere così gonfio, ma a guardare il video la cosa sembrava possibile. Evidentemente la ricetta era bilanciata alla perfezione fra ingredienti liquidi ed ingredienti secchi per realizzare una struttura umidissima ma che reggesse. Peccato che non fosse riproducibile a colpo sicuro, perché la ricetta del video elenca numero di tuorli e numero di albumi invece che grammi degli uni e degli altri, quindi a seconda delle dimensioni delle uova che si usano la quantità di liquidi nella ricetta possono variare enormemente. Io per esempio uso uova del contadino che sono tutte diverse e hanno il tuorlo mediamente piccolo, quindi il risultato sarebbe ogni volta diverso.

Ho deciso comunque di provare una versione cheto e standardizzare le quantità. Al primo tentativo (per altro usando mascarpone al posto del cream-cheese della ricetta giapponese) il dolce non aveva abbastanza struttura e si è sgonfiato, pur mantenendo una gradevole consistenza spugnosa. Il secondo tentativo (con formaggio spalmabile) è molto più leggero e decisamente più interessante, quindi passo a dettagliarvi la ricetta.

Ingredienti (per una tortiera di 20-22cm di diametro):
50gr burro a temperatura ambiente
75gr formaggio Philadelphia
80gr Sfarinato Ros Uni
65gr latte intero
90gr tuorli d’uovo
1 puntina sucralosio
1 bustina vanillina
180gr albume d’uovo
50gr eritritolo
50gr inultina

Burro e uova si lavorano meglio se sono a temperatura ambiente. Le quantità di tuorli e albumi corrispondono a circa (sottolineo circa) 5 uova, separate. Tenetene comunque una sesta pronta in caso di ammanchi sul peso. Miscelate eritritolo e inulina in una ciotola per evitare che l’inulina formi dei grumi, in quanto quest’ultima è molto igroscopica e assorbe subito l’umidità ambientale appena tolta dal suo pacchetto.

Preriscaldare il forno a 170-180°C. Preparare lo stampo, foderandolo internamente con carta da forno ed esternamente con alluminio se lo stampo è di quelli con il cerchio apribile. Predisporre anche uno stampo più grande che possa contenere l’altro per la cottura a bagnomaria. Mettere a bollire 1,5-2litri d’acqua che serviranno per il bagnomaria.

Con una frusta a mano o con uno sbattitore amalgamare in una ciotola burro, formaggio, sfarinato, latte, tuorli, vanillina e sucralosio fino a ottenere una pastella omogenea.

In un’altra ciotola, con uno sbattitore elettrico o in planetaria con la frusta, montare a neve gli albumi, aggiungendo mano a mano la miscela di eritritolo e inulina fino a che la spuma è bella lucida e tiene la forma. Non montare di più perché altrimenti diventa difficile ottenere una consistenza omogenea nel prossimo passaggio.

Prelevare un paio di cucchiaiate di albumi montati e stemperali nella pastella con una spatola. Poi aggiungere in più riprese questa pastella così alleggerita alla montata di albumi e miscelare sempre con la spatola con un movimento dal basso verso l’alto, finché si ottiene una pastella omogenea ben gonfia e fluida.

Versare la pastella nello stampo foderato e pareggiare la superficie con la spatola. Porre lo stampo all’interno dello stampo più grande. Aprire la porta del forno, infornare il tutto e solo allora versare l’acqua bollente nel recipiente più grande, stando attenti a non versare l’acqua dentro al dolce o dentro alla stagnola protettiva. Chiudere subito la porta del forno. Tutta questa operazione farà scendere la temperatura del forno un po’, ma va bene così. Trovo che sia meno pericoloso mettere l’acqua bollente all’ultimo, prima di chiudere il forno, invece che preparare il bagnomaria fuori forno e poi doverne sollevare tutto il peso e controllarne l’ondeggiare per infornarlo.

Cuocere per 20′ a 160°C. Il dolce a questo punto sarà diventato bello gonfio e marroncino chiaro in superficie. Abbassare la temperatura a 140°C e continuare la cottura per altri 30′.

A cottura ultimata, spegnere il forno, aprire lo sportello e lasciare il dolce all’interno del forno per altri 5-10′, poi sfornarlo togliendolo dal bagnomaria. Dopo una mezz’ora sarà abbastanza tiepido e stabile da poterlo togliere dallo stampo.

Servire caldo o freddo a proprio piacimento, tagliato a fette.

Conservare esclusivamente in frigorifero perché il dolce mantiene un altissimo grado di umidità e a temperatura ambiente farebbe la muffa nel giro di due giorni.

Valori nutrizionali:

Valori nutrizionali espressi in grammi, al netto dei carboidrati non assimilabili dell’eritritolo, calcolati con la app Ketonet

Ratio chetogenica: 1,3

Il prossimo tentativo sarà di verificare se si possono raddoppiare le quantità utilizzando uno stampo di poco più grande e vedere se il volume che si svilupperà in cottura si manterrà anche dopo il raffreddamento, avvicinandosi ancora di più all’aspetto del dolce originale del video. La sfida continua…

Gyoza chetogenici

Uno dei piatti giapponesi che ho imparato ad apprezzare in Italia invece che in Giappone sono i gyoza. Ancora non mi spiego come io abbia potuto mancarli in ben due viaggi nella terra del Sol Levante, ma tant’è. Anzi, questo fatto mi fa ben sperare che ci siano altre prelibatezze locali che aspettano di essere scoperte e che valgano la pena di un terzo viaggio.

Intanto mi sono divertita a chetonizzare questo piatto. La mia amica Alice, profonda conoscitrice della cultura nipponica, mi ha fornito una dettagliatissima ricetta originale che ho dovuto semplificare per ridurre al massimo i carboidrati, ma nonostante le licenze questi cheto-gyoza sono assolutamente godibili. Per inciso, se vi state domandando cosa c’entra il Giappone con quelli che molti conoscono come “ravioli cinesi”, Alice mi ha spiegato che questo piatto è effettivamente di origine cinese ed è approdato in Giappone nel 1700/1800, quando veniva servito come complemento dei ramen. Nel tempo poi gli ingredienti del ripieno sono un po’ cambiati. La nota caratterizzante del gusto dei gyoza giapponesi è l’aglio.

La preparazione è un po’ lunghetta perché i ravioli vanno lavorati uno ad uno a mano, ma il divertimento e la soddisfazione sono assicurati. Indicativamente ci vuole un’ora per la preparazione della ricetta base.

Ingredienti (per 16 pezzi):

Per la pasta:
80gr Sfarinato Ros Uni de Il Pane di Rivalta
60gr acqua bollente

Per il ripieno:
100gr salsiccia
80gr cavolo cappuccio verde
10gr olio di sesamo
10gr eritritolo
10gr salsa di soia
un pizzico di zenzero in polvere
un pizzico di sale
mezzo spicchio d’aglio

Per cuocere:
20gr olio di girasole e di sesamo
100-120gr acqua

Per condire:
salsa Teriyaki zero (reperibile online)

Prima di tutto preparare la farcia per lasciarla marinare un po’. Togliere la pelle alla salsiccia e schiacciarla con una forchetta. Tritare il cavolo in piccoli pezzi e mischiarlo alla salsiccia. Condire con olio, eritritolo, zenzero, sale e salsa di soia e da ultimo aggiungere il mezzo spicchio d’aglio che lascerete in un pezzo unico se volete solo insaporire il ripieno e poi toglierlo, oppure schiacciato se vi piace un gusto più deciso. Riporre temporaneamente in frigorifero.

Impastare lo sfarinato con l’acqua bollente. L’acqua calda inibisce la formazione del glutine e rende più facile stendere l’impasto perché sarà meno elastico. Inoltre più alta è la temperatura dell’acqua più l’impasto ne assorbe, risultando più idratato e più rapido a cuocere, il che per la pasta fatta con lo sfarinato Ros Uni è particolarmente importante, perché ha tempi di cottura doppi rispetto alla pasta normale e spesso rischia di rimanere troppo al dente.

Dividere l’impasto in palline da 8gr tutte uguali per ottenere poi una cottura uniforme. Con un mattarello, stendere ogni pallina in una piccola sfoglia larga circa 10cm, infarinando la superficie di lavoro con un po’ di sfarinato se serve.

Togliere il pezzo d’aglio dalla farcia se è stato lasciato intero. Mettere un mucchietto di farcia al centro di ogni sfoglia, inumidire i bordi con acqua, ripiegare le sfoglie a mezzaluna e saldare i bordi con le dita pieghettandoli.

Tutte le foto in questo articolo virano un po’ al giallo perché le ho fatte con luce artificiale, ma la pasta dei gyoza è bianca, perché non contiene uova.

Appoggiare i gyoza con la crestina in su in una padella che possa contenerli tutti, con olio di girasole sul fondo. Creare un motivo concentrico fino a che non finisce lo spazio.

Iniziamo la cottura.

Mettere la padella su fuoco vivo. Attendere che sfrigoli appena e versare l’acqua sul fondo. Chiudere bene con un coperchio e tenere chiuso. Dopo circa 15 minuti, quando l’acqua sarà tutta vapore e la pasta dei gyoza sarà traslucida, togliere il coperchio e lasciare friggere fino a che il fondo sarà dorato e l’acqua completamente evaporata. Aggiungere un filo di olio di sesamo. Se vi piace la crosticina, stendete i gyoza sul fianco perché si rosolino ulteriormente. A proposito del tempo di cottura mi preme rassicurarvi che è sufficientemente lungo da garantire la perfetta cottura della salsiccia nel ripieno; inizialmente ero un po’ dubbiosa a riguardo ed ero stata tentata di precuocere la salsiccia, ma non è proprio necessario.

Quasi pronti. Si vede sul fondo della padella ancora un po’ di liquido di cottura che deve finire di evaporare.

Servire subito ben caldi e condire a piacere con salsa teriyaki zero.

Valori nutrizionali e ratio (esclusa la salsa teriyaki):

Valori nutrizionali espressi in grammi, al netto dei carboidrati dell’eritritolo, calcolati con la app Ketonet.

Alice, che è una purista, si è raccomandata di non omettere l’aglio e anche di non usare l’olio di oliva perché il sapore di quest’ultimo è totalmente estraneo alla ricetta originale, ma, se la vostra dieta non prevede l’uso di olii di semi, sentitevi autorizzati a fare questa sostituzione. Il gusto sarà meno autentico, ma ugualmente godibilissimo.

***

Esistono anche varianti di pesce dei gyoza, con salmone o gamberi, che però sono solo low-carb, perché il pesce contiene molti meno grassi della salsiccia, quindi la ratio della ricetta si abbassa sensibilmente. La preparazione è identica. Mi sento solo di raccomandare di non sminuzzare i gamberi troppo finemente perché poi il ripieno diventa una specie di polpetta compatta.

Valori nutrizionali e ratio della variante low-carb con salmone (esclusa la salsa teriyaki):

Valori nutrizionali e ratio della variante low-carb con mazzancolle (esclusa la salsa teriyaki):

Keto-brownies

Uno dei dolci casalinghi più amati dagli appassionati del cioccolato, i brownies in casa mia di solito si fanno da Pasqua in poi, per smaltire le uova di cioccolato, ma l’altro giorno, dopo una serie di ciambelle e ciambelloni da colazione troppo morigerati, mia figlia ha chiesto qualcosa di più entusiasmante per cui alzarsi dal letto la mattina. Così, dopo aver accontentato lei con i brownies classici, ne ho fatti una piccola teglia anche per me, chetonizzati.

Ingredienti (per 8 porzioni):
80gr cioccolato extrafondente Lindt 90%
67gr burro
2 uova grandi (circa 120gr totali)
55gr Ketomix Pasta di KetoFoodTherapy o sfarinato Ros Uni de Il Pane di Rivalta
50gr eritritolo
30gr inulina
1 bustina vanillina
1 puntina sucralosio
1 pizzico sale fino
20gr noci pecan
20gr cioccolato extrafondente Lindt 90% a pezzi

Non c’è lievito in questa ricetta.

Accendere il forno a 175° ventilato. Mentre il forno si scalda, fondere la prima quantità di cioccolato insieme al burro a bagnomaria oppure in microonde a massima potenza a cicli ripetuti di 10 secondi, mescolando fra un ciclo e l’altro e, una volta fluido, lasciare intiepidire.

A parte in una ciotola mescolare con una frusta a mano o elettrica tutti gli ingredienti secchi, poi le uova ed infine il mix di cioccolato e burro.

Versare in una pirofila rettangolare di circa 22x16cm di dimensioni, foderata di carta da forno. Io ho utilizzato una teglia usa e getta di alluminio della Conad che ha le dimensioni giuste per ottenere brownies di uno spessore di circa 1,5-2cm. La ricetta classica americana vuole che i brownies siano poi serviti tagliati esclusivamente in forma quadrata o rettangolare, quindi la classica teglia da dolci tonda è da evitare. Inoltre la teglia deve essere proporzionata alla quantità di impasto che si prepara perché, se la teglia è troppo grande, i brownies verranno sottili e secchi.

Infornare e cuocere a 175°C per 5 minuti e poi a 150°C per 10 minuti. Il tempo di cottura è piuttosto rapido perché i brownies devono rimanere leggermente umidi all’interno, altrimenti, non essendo lievitati, risulterebbero asciutti e sgradevoli in bocca.

Lasciare raffreddare nella teglia e servire tagliati in 8 o 16 riquadri. Si conservano in una scatola chiusa fino a 7-8 giorni.

Valori nutrizionali e ratio usando Ketomix Pasta:

Macronutrienti espressi in grammi al netto dei carboidrati dei dolcificanti, calcolati con la app Ketonet

Valori nutrizionali e ratio usando sfarinato Ros Uni:

Macronutrienti espressi in grammi al netto dei carboidrati dei dolcificanti, calcolati con la app Ketonet

In mancanza di noci pecan, si possono usare anche noci normali o nocciole, senza per questo pregiudicare la ratio alta.

Piadina sfogliata cheto-compatibile

Sì, è vero ci ho messo troppo a mettere a punto questa ricetta. Per me che sono romagnola poi dedicarmi a fare il pane prima della piada è un mezzo tradimento, ma volevo fare una cosa fatta bene.

La rete è piena di ricette di piade chetonizzate ma sono invariabilmente impastate con l’albume e questa cosa sollecita il mio lato polemico. Va bene che nella cucina chetogenica siamo abituati a escamotage di ogni genere, ma per me una cosa tonda e sottile per accompagnare altri cibi non bisogna mica chiamarla per forza piada. Perché non wrap o crêpe? Non saremo ai livelli di chiamare “pane nuvola” quella che altro non è che una frittata, ma certe volte con i succedanei della piada che sono quasi esclusivamente albume siamo lì lì (scusate, eh, la Romagna protesta).

Da un punto di vista tecnico capisco il ricorso all’albume perché garantisce una plasticità apprezzabile al prodotto cotto che così si può piegare o arrotolare, ma l’albume snatura la piadina soprattutto in termini di sapore. Non si può neppure impastare semplicemente lo sfarinato con l’acqua, perché la piada che se ne ottiene diventa dura appena si raffredda, cosa che la rende sgradevole da addentare e masticare. Io ho scelto di usare le proteine del siero del latte come elemento plasticizzante, perché in generale aiutano a mantenere morbidi gli impasti (per esempio nei lievitati) e, essendo piuttosto neutre di sapore, si mimetizzano bene nel risultato finale. Se si considera poi che l’accompagnamento tipico della piada è il formaggio molle con il salume e che tradizionalmente in alcune zone della Romagna la piada si impasta anche con il latte, le proteine del siero non sono poi una scelta così astrusa.

Per alzare la ratio chetogenica della mia piada ho deciso di fare la versione sfogliata che rimane anche meno compatta e più golosa. La sfogliatura della piada è molto rapida e facile da realizzare, nulla a che vedere con quella lunga e laboriosa della pasta sfogliata dolce. Se ne ricava una piada friabile che fa briciole sottili e croccanti pur rimanendo morbida.

Ingredienti (per 4 piade):
200gr Sfarinato Lombardia
20gr proteine isolate del siero del latte (Myprotein)
140gr acqua fredda
20gr olio evo
5gr sale fino
25gr strutto fuori frigo ma non sciolto
20gr olio evo per stendere

Sconsiglio di usare una quantità maggiore di strutto perché renderebbe più difficile stendere l’impasto che si straccerebbe troppo facilmente. Inoltre in cottura la piada finirebbe per friggere nel suo stesso grasso e diventerebbe croccante, cosa che abbiamo detto che vogliamo evitare.

Impastare sfarinato, proteine e acqua in planetaria fino ad ottenere un impasto liscio ed elastico. Ci vorranno almeno 10 minuti. Aggiungere l’olio a filo e continuare ad impastare finché l’olio è stato completamente assorbito; come dico sempre, il Lombardia fatica ad assorbire i grassi, quindi ci vuole pazienza, quindi tirare giù l’impasto dal gancio più volte e ripartire finché l’impasto è di nuovo liscio ed omogeneo. Aggiungere il sale per ultimo ed impastare ancora per qualche minuto. Poi lasciare riposare l’impasto per altri 10 minuti prima di stenderlo.

Stendere l’impasto con il mattarello in forma rettangolare. Io l’ho steso su un Silpat (un tappetino di silicone) perché l’impasto, che rimane un po’ molliccio, così non si attacca ma grippa quel tanto sulla superficie di fondo da facilitare la stesura. Una volta steso l’impasto, spalmarlo tutto uniformemente con lo strutto (che io ho spatolato con un coltello). Arrotolare l’impasto dal lato corto, in modo da ottenere un salsicciotto corto che poi va tagliato in quattro pezzi uguali.

Arrotondare un po’ le girelle così ottenute come per farne una pagnottina, così l’impasto steso sarà tondo. Ungere la superficie con un po’ di olio e spianare con il mattarello fino a ricavarne un disco con un diametro di circa 20cm. Può succedere che la pasta un po’ si strappi, ma non importa.

Scaldare una padella antiaderente grande. Trasferire la piada nella padella calda e lasciare cuocere per un paio di minuti per lato. La superficie si abbrustolirà, ma non si deve bruciare. Procedere con la cottura di tutte e quattro le piade. Se si servono tutte subito bisognerà tenere le piade cotte al caldo fra due canovacci puliti a mano a mano che si cuociono. Se invece si vogliono conservare, lasciarle raffreddare, inframezzarle con dei pezzi di carta da forno e quando sono fredde infilarle in un sacchetto e via nel freezer. Si scongelano all’occorrenza in pochi secondi in una padella antiaderente o sul classico testo caldi.

Valori nutrizionali e ratio chetogenica:

Valori nutrizionali espressi in grammi e calcolati con la app Ketonet

La ratio non arriva a 1, ma solo 4gr di carboidrati per pezzo non sono niente male e ne fanno un piatto cheto-compatibile se abbinato opportunamente.

Le possibili farciture sono infinite (compatibilmente con quello che consente il vostro piano alimentare naturalmente): formaggio molle (meglio se squacquerone), salumi affettati, porchetta, salsicce arrosto, insalata verde o radicchio o rucola, erbe lessate come bietole, cicoria o rosole, o anche verza, ben strizzate e ripassate in padella con un olio e aglio, verdure grigliate o al gratè (non al gratin, ma proprio gratè, alla romagnola). Un altro ripieno molto tipico sono i sardoncini grigliati. Potete sbizzarrirvi come volete ma, per favore, non metteteci tonno e maionese, altrimenti vengo a picchiarvi con il mattarello!

Focaccia pugliese in due versioni: cheto-compatibile e chetogenica.

Focaccia realizzata con Sfarinato Lombardia

Ho imparato a fare la focaccia pugliese a casa di mio marito con la ricetta della mamma di mio suocero, originaria di Mola di Bari. Fragrante come il pane, ma molto più condita, la focaccia pugliese è una di quelle leccornie che, prima di rendertene conto, te ne sei mangiata il doppio di quella che intendevi, quindi far danni è un attimo.

Un keto-amico mi ha sfidata a fare la versione cheto e l’ho accontentato volentieri perché un giorno avevo intenzione di fare la pizza, ma mi sono dimenticata di comprare la mozzarella… Quindi questa ricetta è dedicata a te, Mauro, per avermi salvato dal rimanere senza cena!

La base della ricetta è quella del mio pane realizzato con lo sfarinato Lombardia de Il Pane di Rivalta, ma viene benissimo (e con una ratio ben più alta) anche con la Ketomix Pizza e Pane di KFT Ketofoodtherapy.

Nella ricetta originale nella farcitura ci sono anche cubetti di caciocavallo, che si potrebbero usare anche qui. Io questa volta non li ho messi perché poi mi piace accompagnare questa focaccia con del formaggio molle.

Ingredienti (dose minima, 4 porzioni):
Per l’impasto:
200gr sfarinato Lombardia de Il Pane di Rivalta*
140gr acqua fredda*
6gr lievito di birra compresso
5gr sale
30gr olio extravergine d’oliva

Per la farcitura:
10gr olio extravergine d’oliva per lo stampo
30gr pomodoro datterino (1 pomodorino)
sale q.b.
20gr olive nere
10gr olio extravergine d’oliva
origano q.b.

*Se si usa la Ketomix Pizza e Pane, bisogna ridurre la quantità di acqua da 140gr a 115gr.

Per l’impasto vi rimando alla ricetta del mio pane. L’unica differenza è che la focaccia deve essere untissima, quindi il tanto olio previsto in ricetta ci metterà un po’ ad essere assorbito nell’impasto e bisognerà impastare ancora più a lungo. Quando l’impasto è pronto, ungere una teglia a sponde alte o uno stampo da dolci tondo del diametro di 16cm. Mettere l’impasto nella teglia e schiacciarlo con le dita per allargarlo alla dimensione dello stampo. Non importa se la superficie rimane irregolare.

Porre a lievitare per almeno 2 ore in luogo tiepido ed umido. Ultimamente la lievitazione in forno spento chiuso con all’interno anche un pentolino pieno di acqua bollente fumante è il sistema che mi dà più soddisfazione.

Preriscaldare il forno a 160-170°C. Intanto tagliare a cubetti il pomodorino e salarlo. Quando il forno ha raggiunto la temperatura, farcire la focaccia schiacciandoci dentro i cubetti di pomodoro sgocciolato e le olive, condire con l’olio ed una spolverata di origano a piacere.

Infornare e cuocere a 160-170°C per 30-40 minuti. Una volta cotta, togliere dalla teglia e lasciare intiepidire su una gratella prima di tagliare e servire, accompagnata da una bella insalata e salume o formaggio, a secondo di quello che il vostro piano nutrizionale vi consente.

E se vi sfiorasse il sospetto che questa focaccia sia uno di quei succedanei che fanno solo bella figura in foto, vi dico solo che mio marito, che aborre i miei “veleni”, non ci voleva credere che il profumo che invadeva la cucina non era quello di una focaccia “normale”…

Valori nutrizionali e ratio chetogenica:

Macronutrienti espressi in grammi. Valori nutrizionali calcolati con la app Ketonet.

Se realizzata con lo sfarinato Lombardia, questa focaccia è vegana; con la Ketomix Pizza e Pane (che contiene albume d’uovo) è vegetariana. In ogni caso non contiene né soia, né lattosio.

Entrambe le “farine” si acquistano online direttamente dai produttori:
– Sfarinato Lombardia sul sito de Il pane di Rivalta
– Ketomix Pizza e Pane sul sito di Ketofoodtherapy

Pan brioche cheto-compatibile

D’estate avere il pane pronto per fare i panini è fondamentale. Quest’anno poi mi sembra che lo sia anche di più del solito, con il caldo esagerato che sta già facendo e con il carico di lavoro sotto cui sono sepolta che mi lascia davvero poco tempo per cucinare come vorrei.

Ho approfittato di una rara giornata che sapevo che sarei stata in casa tutto il giorno per fare un bel filone di panbrioche che mi basterà per un bel pezzo, conservandolo in freezer.

La ricetta non ha richiesto nessuna progettazione particolare questa volta, perché è la stessa della pagnotta di Sarsina con qualche variazione davvero minima.

Ingredienti (per un filone da 32 fette):

Per il lievitino:
10gr lievito di birra fresco
100gr acqua fredda
100gr Sfarinato Lombardia de Il Pane di Rivalta

Per l’impasto:
300gr Sfarinato Lombardia
50gr acqua
3 albumi (circa 120gr) freddi di frigo
50gr eritritolo
20gr proteine di siero del latte
20gr inulina
3 tuorli (circa 45gr) freddi di frigo
100gr burro ammorbidito a temperatura ambiente
10gr sale

Per la lucidatura:
1 tuorlo
15gr panna

Per il metodo di impasto vi rimando alla ricetta della pagnotta pasquale.

Una volta pronto l’impasto l’ho suddiviso in 6 pagnottine, arrotolate rincalzandole sotto ben bene e poi posizionandole tutte vicine in un lungo stampo da plumcake cake 27x9x7cm ben imburrato.

La lievitazione l’ho fatta in forno spento accanto ad una pentola piena di acqua bollente fumante ed ha richiesto 3 ore.

Cottura in forno preriscaldato a 160° per 25-30 minuti, cioè un po’ meno della pagnotta perché il calore del forno penetra prima nella forma allungata del filone rispetto alla palla voluminosa della pagnotta.

Una volta sfornato, attendere 5 minuti prima di sformare il filone è metterlo a raffreddare su una gratella. Affettare solo quando il filone è ben raffreddato.

La consistenza del pan brioche regge bene un taglio a fette sottili. Utilizzando i solchi fra le pagnottine come riferimento, sono riuscita a fare 6 fette da ogni pagnottina, quindi 32 fette in tutto.

Valori nutrizionali e ratio chetogenica:

Con un filone si possono fare ben 16 sandwich o toast il cui pane apporterà appena 2gr di carboidrati per panino.

Pagnotta pasquale di Sarsina cheto-compatibile

A Pasqua in casa nostra non è mai andata tanto la colomba, ma mia mamma comprava spesso la pagnotta che il forno proponeva per almeno un mese a cavallo della Settimana Santa. Quella della mia infanzia era un pagnotta dolce, ma la pagnotta di Sarsina è dolce-salata e può essere consumata sia come dolce che insieme al salume, come per altro vuole la tradizione della colazione di Pasqua in Romagna, che abbina alla pagnotta l’uovo sodo benedetto ed il salame.

L’intaglio a forma di croce e tipicamente pasquale ed è un esplicito richiamo alla croce di Cristo. Per altro, l’intaglio a croce sui prodotti lievitati come il pane è sempre stato una forma di devozione ed un’invocazione di benedizione sul cibo (anche se qualche volta si trasforma in una specie di superstizione, come se potesse garantire la buona riuscita della lievitazione).

La ricetta tradizionale richiede che questa pagnotta sia arricchita di uvette e profumo d’anice. Addirittura le uvette andrebbero fatte rinvenire nel liquore all’anice, ma per chetonizzare la ricetta dovremo rinunciare alle uvette ed optare per una sostituzione meno zuccherina. Io ho deciso di usare l’uva fresca, in quantità contenuta per non aumentare troppo i carboidrati totali. Si potevano usare anche dei mirtilli ed i carboidrati finali sarebbero stati un pochino meno, ma non tanto, e non mi è sembrato che valesse la pena cambiare il gusto per un risparmio tutto sommato modesto. Per quanto riguarda il profumo d’anice non è necessario fare compromessi: si possono usare indifferentemente i semi d’anice o il liquore Varnelli secco. Io ho usato i semi perché li avevo mentre non avevo il liquore, ma per il sapore sarebbe stato meglio il liquore. Per altro, quest’ultimo ha un quantità di carboidrati veramente irrisoria, appena 1,3gr/100ml e, data la quantità minima che andrebbe in ricetta, diventa praticamente ininfluente sulla porzione finale.

Le quantità degli ingredienti che seguono sono per la realizzazione di due pagnotte. Ho scelto di procedere così perché gli impasti di una certa dimensione vengono meglio, il gancio della planetaria pesca meglio l’impasto e lo incorda in maniera più efficiente.

Vedrete che la preparazione della pagnotta è piuttosto lunga, ma ha il suo senso: la lunga lievitazione suddivisa in più passaggi (lievitino, riposo e lievitazione) migliora il risultato finale in termini di sapore, sofficità e conservabilità della pagnotta.

Ingredienti (per 2 pagnotte):

Per il lievitino:
10gr lievito di birra fresco
100gr acqua fredda
100gr Sfarinato Lombardia de Il Pane di Rivalta

Per l’impasto:
300gr Sfarinato Lombardia
50gr acqua
3 albumi (circa 120gr) freddi di frigo
60gr eritritolo
10gr proteine di siero del latte
20gr inulina
1 bustina di vanillina
scorza grattugiata di mezzo limone non trattato
3 tuorli (circa 45gr) freddi di frigo
3gr di semi di anice schiacciati o frullati nel macinacaffè, o in alternativa due cucchiai di liquore secco all’anice Varnelli
80gr burro ammorbidito a temperatura ambiente
10gr sale
100gr uva fresca senza semi (scegliere gli acini più piccoli possibili)

Per la lucidatura:
1 tuorlo
15gr panna

La preparazione si può fare in uno o due giorni. Se si ha a disposizione solo un giorno, iniziare la mattina e cuocere la sera; se si può gestire la preparazione su due giorni, fare il lievitino prima di cena, impastare dopo cena, riposare in frigo la notte, e riprendere il giorno dopo di prima mattina per cuocere a ridosso del pranzo.

Preparare il lievitino in una ciotola, sciogliendo il lievito di birra nell’acqua, aggiungere lo sfarinato e mescolare grossolanamente con un cucchiaio finché lo sfarinato ha assorbito tutto il liquido. Coprire con la pellicola e lasciare lievitare a temperatura ambiente per 1 ora. Intanto togliere dal frigo il burro perché si ammorbidisca.

Quando il lievitino avrà riposato, versarlo nella ciotola della planetaria e aggiungere il resto dello sfarinato. Se si usa il liquore, togliere dalla quantità di acqua in ricetta due cucchiai di acqua e rimpiazzarli con due cucchiai di liquore. Versare l’acqua (o acqua+ liquore) nella ciotola della planetaria ed iniziare ad impastare con il gancio. Quando lo sfarinato avrà ben assorbito il liquido, ma l’impasto sarà ancora piuttosto arido e sbriciolato, aggiungere gradualmente gli albumi e continuare ad impastare finché l’impasto non si incorda bene attorcigliandosi sul gancio. Ci vorranno almeno 10minuti. L’incordatura dell’impasto è indispensabile per una bella lievitazione poi, quindi bisogna avere pazienza e non tagliar corto.

Continuando ad impastare, aggiungere gli altri ingredienti secchi, gli aromi e i tuorli un po’ alla volta, perché l’impasto farà fatica ad assorbirli. Insistere ad impastare finché l’impasto non è tornato bello uniforme ed elastico, attorcigliandosi sul gancio. Anche questa fase richiederà circa 10 minuti. Se vi sembra che l’impasto non assorba, fermate la planetaria, tirate giù l’impasto dal gancio, giratelo sottosopra e riprendete ad impastare (questo si può fare tutte le volte che volete).

Per ultimo incorporate il burro morbido un pezzo alla volta e continuate ad impastare per altri 10 minuti perché l’impasto assorba completamente ed uniformemente il burro. Infine aggiungete il sale ed impastate altri 3-4 minuti. N.B. Il sale si aggiunge sempre per ultimo negli impasti lunghi perché indurisce la maglia glutinica (infatti appena lo mettete vedrete che l’impasto si contrae). Se si mette troppo presto, la struttura dell’impasto si indebolisce o si strappa e poi non regge la massa quando si gonfia in lievitazione.

Mettere l’impasto in una ciotola, chiudere con pellicola e riporre in frigorifera a riposare. Il riposo può durare da minimo 1 ora a massimo 8-10. Più è lungo il riposo, migliore sarà il sapore e la struttura della pagnotta. Il fatto poi che il riposo sia fatto in frigorifero rallenterà enormemente la lievitazione, evitando che il lievito esaurisca troppo presto la sua forza e che l’impasto inacidisca.

Una volta terminato il riposo, impastare brevemente la massa a mano su una spianatoia eventualmente spolverata di sfarinato. Suddividere a metà l’impasto e lavorare i due pezzi separatamente. Con le mani unte di burro, allargare ogni pezzo sulla spianatoia, schiacciandolo con le mani. Infilare gli acini d’uva (senza romperli) nell’impasto, ripiegare i lembi verso l’interno per iniziare a coprire gli acini e arrotolare i bordi verso l’interno fino al centro. Rigirare l’impasto sotto sopra tenendolo in mano e continuare a rincalzare l’impasto con le dita sotto alla pagnotta, in modo che la superficie della palla si tenda gradualmente diventando liscia e regolare. Bisogna stare attenti che gli acini non affiorino e rimangano inglobati nella palla. Posizionare ciascuna palla nel suo stampo di carta (diametro 16cm).

Riporre a lievitare in un luogo tiepido ed umido (io questa volta ho usato come cella di lievitazione il forno spento e chiuso, in cui ho messo anche una pentola di acqua bollente fumante). Lasciare lievitare per almeno 2-3 ore finché l’impasto è raddoppiato di volume.

A lievitazione completata, togliere i due stampi e la pentola dal forno. Intagliare a croce la superficie delle pagnotte con una lama affilatissima o una lametta. L’incisione non deve essere profonda, non più di 5mm, e non deve scoprire gli acini d’uva, quindi se si intravvedono sotto la superficie bisogna cercare di evitarli. Miscelare tuorlo e panna in una tazzina. Spennellare con la mistura tutta la superficie delle pagnotte, evitando accuratamente il taglio.

Mentre le pagnotte continuano a riposare e a lievitare a temperatura ambiente, preriscaldare il forno a 160°C. Prima di infornare, mettere dei piccoli fiocchetti di burro nel taglio al centro della croce. Il burro serve perché con il calore del forno si scioglierà e colerà nel taglio mantenendolo umido, il che faciliterà l’apertura dell’intaglio quando la pagnotta si gonfierà durante la lievitazione in forno.

Infornare entrambe le pagnotte e cuocere a 160°C per 40-45 minuti. Per effetto della lucidatura, durante la cottura la superficie diventerà scura mentre l’intaglio deve rimanere più chiaro. Verso la fine della cottura si possono girare gli stampi in modo che l’esposizione al calore sia regolare tutt’intorno.

Sfornare e lasciare raffreddare completamente prima di servire.

Conservare chiusa in una busta di plastica e consumare nel giro di una settimana. Per prudenza, visto che l’uva manterrà la sua umidità e potrebbe fare la muffa, io conserverò la mia pagnotta in frigorifero e tirerò fuori la mia fetta una mezz’ora prima di consumarla, perché a temperatura ambiente, o appena intiepidita, sarà sicuramente più fragrante.

Valori nutrizionali e ratio chetogenica:

Macronutrienti espressi in grammi, al netto dei carboidrati non assimilabili dell’eritritolo, e calcolati con la app Ketonet.

La ratio è bassa, ma il contenuto di carboidrati per fetta è sufficientemente ridotto e non sarà troppo difficile farlo rientrare nel proprio piano per godersi questa pagnotta.

Bagels cheto-compatibili

Un amico americano goloso e un po’ nostalgico di casa qualche anno fa mi ha sottoposto una ricetta di bagels trovata online, chiedendomi se sarebbe stato difficile per lui farseli da solo visto che non aveva nessuna esperienza di impasti lievitati. A prima vista sembrava una normalissima ricetta di pasta di pane di frumento con una formatura a ciambella. L’unica particolarità era la doppia cottura (bollitura e forno) mirata ad ottenere un prodotto morbido ma tenace al morso e con una crosta soffice (per i curiosi la ricetta originale è questa). Da allora li ho fatti diverse volte con la farina normale e non sono affatto difficili. Per questo non ho avuto alcuna esitazione a provare a farli anche con lo Sfarinato Lombardia che uso per i miei lievitati cheto. In questo caso ho ottenuto dei bagels cheto-compatibili, cioè che hanno una ratio inferiore a 1 ma comunque con contenuto di carboidrati molto molto basso (4gr al pezzo), tale da poterli far rientrare in un piano alimentare chetogenico giocandosi la necessaria quota di grassi con la farcitura per una dieta chetogenica normocalorica o con un ripieno più morigerato per una VLCKD.

Ingredienti (per 4 bagles, quantità minima necessaria per l’impasto in planetaria):
200gr Sfarinato Lombardia
140gr acqua fredda
5gr lievito di birra fresco
5gr sale

Per la finitura:
1 tuorlo d’uovo
15gr panna fresca
3gr sesamo bianco
3gr sesamo nero
2gr semi di papavero

Sciogliere il lievito nell’acqua. Impastare molto a lungo in planetaria con il gancio lo sfarinato e la miscela liquida finché l’impasto risulta perfettamente incordato. Aggiungere per ultimo il sale e impastare ancora un paio di minuti. Mettere l’impasto a lievitare per almeno un ora e mezza in luogo tiepido ed umido esattamente come si fa per il pane.

Preparare una teglia con quattro quadretti di carta da forno. Il fatto che ogni bagel abbia il suo quadretto servirà a poterli maneggiare uno a uno più facilmente. Suddividere l’impasto in 4, formare delle palline rincalzando ben bene l’impasto sotto a ciascuna pallina per ottenere una superficie tesa e liscia. Posizionare ogni pallina sul suo quadretto. Mettere un piccolo contenitore pieno di acqua bollente nel mezzo ed incoperchiare (io ho usato una grossa ciotola) in modo da intrappolare umidità e tepore e facilitare così la lievitazione. Lasciare lievitare per una mezz’ora.

Per formare le ciambelle, prendere in mano ciascuna pallina sollevandola con le dita da sotto per non schiacciarla e, tenendola sulle dita, infilarci il pollice nel centro per fare il buco. Poi allargare il buco tirando delicatamente l’impasto tutto intorno, finché il buco non è largo almeno quanto la pasta intorno. Riposizionare la ciambella sul suo quadretto. Siccome la pasta è elastica, la ciambella si contrarrà un po’ ed il buco si rimpicciolirà. Bisogna tenerlo presente quando si forma la ciambella e non fare il buco troppo piccolo. Una volta formate tutte le ciambelle, assicurarsi che l’acqua nel piccolo recipiente centrale sia ancora bollente (altrimenti rimpiazzarla), incoperchiare nuovamente e lasciare lievitare altri 20-30 minuti.

Preriscaldare il forno a 175°C. Intanto riempire a metà una pentola d’acqua e portarla a bollore per fare la prima cottura dei bagels. Per tuffare ogni ciambella nell’acqua bollente senza toccarla, in modo da non farle perdere la forma, prendere ciascun quadretto di carta dagli angoli, capovolgerlo e lasciar cadere le ciambelle nell’acqua bollente. Lasciar cuocere per 1 minuto poi girarle sottosopra utilizzando una ramaiola ed un cucchiaio per far cuocere anche l’altro lato per 1 minuto. Per controllare bene i tempi, io preferisco bollire i bagles uno per volta, o al massimo due in una pentola più grande. Scolare ogni pezzo con la ramaiola e appoggiarlo su uno strofinaccio di cotone asciutto per farlo scolare un po’ (un minuto).

Ancora calde e mollicce, sollevare accuratamente le ciambelle da sotto senza schiacciarle e rimetterle sul loro quadratino di carta sulla teglia di cottura. Mixare rapidamente il tuorlo e la panna in una tazzina con una forchetta e spennellare il mix sulla superficie dei bagel bolliti. Spolverizzare abbondantemente con i semi ed infornare a 180°. Cuocere per 20 minuti, poi abbassare la temperatura a 160° e cuocere per altri 20 minuti.

Lasciare raffreddare i bagel su una gratella prima di tagliarli e farcirli a piacimento.

Se non li mangiate subito, si conservano in freezer.

Una farcia deliziosa: speck, brie e rucola

Valori nutrizionali:

Ratio chetogenica: 0,11 quindi di per sé assolutamente non chetogenici, ma decisamente low-carb e molto ricchi di fibre, quindi particolarmente sazianti. Volete mettere un panino con appena 4gr di carboidrati?

Cheto-pasta choux

Con gli sfarinati de Il Pane di Rivalta ormai ci faccio praticamente tutto. Di solito mi ci vogliono un po’ di prove per bilanciare la componente liquida ma in genere arrivo al risultato senza troppi salti mortali. Con la pasta choux invece ho dovuto brigare parecchio perché agli sfarinati manca proprio un elemento imprescindibile per uno dei passaggi tecnici nella realizzazione degli choux, che è la gelatinizzazione degli amidi, senza la quale bignè e compagnia bella (zeppole, eclair e paris brest) non si gonfiano.

Ho già detto altre volte che ho iniziato a studiare tecniche di pasticceria seguendo le lezione professionali dello chef Luca Montersino e lo sottolineo ancora una volta perché, anche se io sono solo un’appassionata che nella vita fa altro, da appassionata di cucina chetogenica ogni giorno di più mi rendo conto che conoscere le tecniche è l’unico strumento per riuscire a chetonizzare con piena soddisfazione le ricette tradizionali. Se sai perché la preparazione tradizionale si comporta in un certo modo, poste le limitazioni dei cheto-ingredienti, capisci su cosa devi lavorare per aggirare l’ostacolo.

Quindi sono partita dalle indicazioni di Montersino, di cui c’è una versione semplificata per il grande pubblico che vi invito a guardare su RaiPlay ( La Pasta bigné – E’ sempre Mezzogiorno 09/10/2020 – YouTube ). Come spiega il maestro Montersino, la pasta choux deve subire due cotture: una in pentola per gelatinizzare gli amidi e una in forno per far gonfiare quella camicia di amidi e cuocere il tutto. Le farine chetogeniche per loro stessa natura devono avere percentuali irrisorie di amidi. Ricorderete infatti che quando leggete nella tabella nutrizionale “carboidrati totali .., di cui zuccheri …” la differenza fra carboidrati totali e zuccheri sono proprio gli amidi. Quindi usare una cheto-farina e sperare che si gelatinizzi qualcosa nella prima cottura è una pia illusione. Per ottenere lo stesso effetto di gelatinizzazione ho quindi aggiunto alla ricetta una quantità veramente molto piccola di bucce di psyllium, piccola abbastanza da non sentirne né il sapore né la consistenza alla masticazione ma sufficiente per mimare la gelatinizzazione e la legatura degli amidi che non ci sono. Questo trucco di per sé sarebbe sufficiente per ottenere che gli choux si gonfino, ma per stare dalla parte del sicuro ho utilizzato anche una quantità infinitesimale di bicarbonato di ammonio (cioè ammoniaca per dolci) che genera bolle molto grandi negli impasti molli e che Montersino stesso usa nella sua ricetta per le zeppole di San Giuseppe.

Dei due sfarinati de Il Pane di Rivalta, ho preferito usare il Ros Uni invece che il Lombardia perché la ricetta tradizionale richiede una farina debole e tra i due sfarinati quello che si comporta in maniera più simile è il Ros Uni.

Ingredienti (per 30 piccoli bignè):
71gr acqua
4,5gr bucce di psyllium tritate finissime nel macinacaffé
40gr burro
1 pizzico sale
1 pizzico eritritolo
37gr sfarinato Ros Uni
120gr uova sbattute (non montate) e qualche grammo in più a parte
0,15gr bicarbonato di ammonio

Ammollare le bucce di psyllium nell’acqua per almeno una mezz’ora (coprire il contenitore per evitare la benché minima evaporazione dell’acqua, che già è pochissima). Le bucce assorbiranno l’acqua completamente e creeranno un piccolo ammasso di gelatina appiccicosa.

Preriscaldare il forno a 250-270°C.

In un pentolino con il manico lungo (che è più facile impugnare saldamente per mescolare l’impasto) sciogliere su fuoco dolce il burro. Aggiungere la gelatina di psyllium, il sale e l’eritritolo e portare rapidamente a bollore mescolando con un cucchiaio di legno. Quando la miscela bolle, togliere dal fuoco, aggiungere rapidamente lo sfarinato e mescolare energicamente la palla di impasto molto denso che si formerà. Rimettere sul fuoco e continuare a cuocere. Con una farina tradizionale i grumi non si formerebbero, ma con lo sfarinato può succedere, quindi girare con energia per romperli finché l’impasto non sfrigola. Togliere dal fuoco.

Siccome la quantità di impasto è molto piccola, è meglio usare una frusta elettrica che il robot da cucina. Versare in una ciotola l’impasto caldo e lavorarlo con la frusta per farlo raffreddare. Svaporerà mentre lo si impasta. Quando ha perso un po’ di temperatura, aggiungere le uova a filo, non tutte insieme, per due motivi: l’impasto ci mette un po’ ad assorbirle e aggiungerle poco alla volta aiuta; inoltre la consistenza finale dell’impasto ben amalgamato non deve diventare troppo liquida, quindi la quantità di uova da aggiungere va regolata al momento, potrebbero volercene un po’ di più o un po’ di meno della quantità in ricetta. Per regolarsi bene sulla consistenza finale, bisogna tenere conto che l’impasto andrà dressato con una sac-à-poche quindi dovrà essere abbastanza morbido, ma non tanto fluido da allargarsi e perdere la forma una volta dressato. La consistenza dell’impasto quindi deve essere cremosa.

Da ultimo aggiungere il bicarbonato di ammonio e dare un’ultima bella mescolata per distribuirlo bene nell’impasto. E’ importante aggiungerlo per ultimo quando l’impasto è solo tiepido perché il bicarbonato di ammonio si attiva con il calore: se lo si aggiunge quando l’impasto è ancora caldo, reagisce subito e ci si gioca il suo potere lievitante prima di arrivare alla cottura in forno.

Trasferire l’impasto in una sac-à-poche con bocchetta lisca da 10mm. Per evitare che l’impasto scappi fuori dalla bocchetta e sgoccioli in giro mentre ancora si riempie la sacca, io ho l’abitudine di pinzare la sacca a monte della bocchetta e poi anche a chiusura della sacca riempita. Questo mi consente di fare un lavoro più pulito.

Preparare una teglia con un tappetino microforato. In mancanza del tappetino, ungere pochissimo una teglia e rimuovere l’eccesso di burro con un pezzo di carta da cucina perché l’impasto un po’ dovrà attaccare, altrimenti l’impasto non cresce. Non usare carta da forno. Dressare l’impasto in mucchietti abbastanza distanziati perché non si attacchino tra di loro gonfiandosi. Perché siano più bellini da cotti, si può appiattire la puntina lasciata dalla bocchetta toccandola con la punta di un dito bagnata d’acqua.

Infornare subito nel forno al massimo (250-270°C). Cuocere per 2 minuti, poi abbassare la temperatura a 170°C e cuocere per altri 20 minuti. Si può aprire per qualche secondo il forno per far uscire l’umidità solo alla fine della cottura, non prima dei 18 minuti. A fine cottura, spegnere il forno e socchiudere la porta per lasciare che si asciughino un altro po’. Montersino usa la tecnica della cottura a forno spento (cioè forno al massimo, spento 7 minuti e riacceso a 170°C per altri 13 minuti) ma il mio forno da spento perde temperatura ad una velocità pazzesca, quindi la cottura che ho descritto è un compromesso che per me funziona bene. Il solo rischio è che se la ventola soffia piuttosto forte gli choux potrebbero venire un po’ storti o staccarsi dalla teglia durante la cottura e non gonfiare abbastanza. Per questo il tappetino microforato è l’ideale.

Una volta raffreddati, gli choux si possono tagliare orizzontalmente e farcire a piacimento con farce dolci o salate. Non proverei a farcirli con la bocchetta a siringa perché dentro non saranno mai perfettamente vuoti come un vero bignè. Devo testare altre due possibili modifiche alla ricetta per vedere se riesco a farli venire ancora più vuoti dentro. Se funzionano, vi aggiornerò e a quel punto si potranno farcire anche con la siringa lasciandoli interi.

E’ consigliabile farcirli subito e conservarli farciti in frigorifero. Se non farciti, si conservano abbastanza fragranti per un paio di giorni in una scatola chiusa. Vuoti non li conserverei più a lungo perché dopo perdono tutta la loro fragranza.

Valori nutrizionali (quelli relativi al singolo pezzo varieranno in base a quanti pezzi esattamente riuscite a dressare quindi faccio solo qualche esempio) e ratio chetogenica:

Macronutrienti espressi in grammi, al netto dei carboidrati dell’eritritolo e calcolati con la app Ketonet

Giocando con le forme, si possono realizzare varie preparazioni con la pasta choux:
bignè, dressati a pallina con la bocchetta liscia e farciti dolci o salati;
éclair, dressati in una striscia lunga con bocchetta liscia e farciti con panna montata;
zeppole di San Giuseppe, dressati a cerchio con la bocchetta rigata, cotti in forno o fritti o magari anche nella friggitrice ad aria, e farciti sopra con una cheto-crema pasticcera (a scelta questa o questa), una spolverata di fibre vanigliate ed un lampone per fare colore (assolutamente no amarena sciroppata).
paris brest, dressati a cerchio grande e tagliati a metà per essere farciti


Maritozzi low carb e chetogenici

Potete resistere ad un sorriso così?

Mi era venuta voglia di cornetti, ma con questi caldi mi sembrava un azzardo mettermi a fare sfogliature con il burro, vedevo già unto colare dappertutto… Così mi sono limitata ad un impasto semplicemente lievitato e voilà una profumatissima colazione.

Come di consueto sono partita dalla versione low carb con lo Sfarinato Lombardia, ma ho anche già calcolato il bilanciamento della quantità di liquidi per la versione chetogenica con la Ketomix Pizza e Pane quindi ve le metto tue e due e lascio a voi la scelta.

Ingredienti (per 8 maritozzi ratio 0,52):
Per il lievitino:
50gr sfarinato Lombardia
50gr acqua fredda
9gr lievito di birra fresco

Per l’impasto:
287gr Sfarinato Lombardia
30gr latte intero
2 uova piccole (circa 95gr) fredde di frigo
26gr acqua fredda (o, a seconda di quanto pesano le uova, la quantità che serve ad arrivare a 121gr sommando il peso delle uova con quello dell’acqua)
30gr eritritolo
10gr inulina
1 bustina di vanillina o semi di mezza bacca di vaniglia
scorza grattugiata di mezzo limone
qualche goccia di aroma rum
62gr burro a temperatura ambiente
4gr sale
30gr di grué (granella di fave di cacao)

Ingredienti (per 8 maritozzi ratio 1,42):
Per il lievitino:
50gr Ketomix Pizza e Pane
50gr acqua fredda
9gr lievito di birra fresco

Per l’impasto:
287gr Ketomix Pizza e Pane
2 uova piccole (circa 95gr) fredde di frigo
30gr latte intero
19gr acqua fredda (o, a seconda di quanto pesano le uova, la quantità che serve ad arrivare a 114gr sommando il peso delle uova con quello dell’acqua)
30gr eritritolo
10gr inulina
1 bustina di vanillina o semi di mezza bacca di vaniglia
scorza grattugiata di mezzo limone
qualche goccia di aroma rum
62gr burro a temperatura ambiente
4gr sale
30gr di grué (granella di fave di cacao)

Per entrambe le versioni:
mix di 50% tuorlo e 50% panna per lucidare

Per il lievitino, sciogliere il lievito nell’acqua fredda e mischiare in una ciotolina con la farina. Verrà una pastella liquida. Coprire bene con la pellicola perché non si asciughi e lasciare raddoppiare a temperatura ambiente (circa 1 ora).

Quando il lievitino è pronto, versarlo in planetaria con il resto della farina, le uova e quasi tutta l’acqua. Impastare per 10 minuti con il gancio finché l’impasto non è ben incordato e aggiungere l’ultima quantità d’acqua goccia a goccia solo se serve per rendere l’impasto ben lavorabile ma assolutamente non umido né appiccicoso. Se quest’ultima parte di acqua serve lo si capisce solo dopo i primi 5 minuti di impasto, perché la consistenza della massa cambia molto in questo tempo in funzione dell’assorbimento dei liquidi da parte della farina e della formazione della maglia glutinica.

Quando l’impasto è ben incordato aggiungere l’eritritolo, l’inulina e gli aromi e continuare ad impastare pazientemente finché non vengono completamente assorbiti.

Incorporare il burro a poco a poco ed insistere ad impastare fino a perfetto assorbimento e da ultimo aggiungere il sale e la grué. Impastare ancora un paio di minuti finché l’incordatura non è soddisfacente.

Suddividere l’impasto in 8 palline di pari peso (70/80gr circa) e formare i maritozzi rincalzando l’impasto sotto a ciascuna pallina, dare una rapida pirlata e schiacciare un po’ le palline per dargli una forma allungata.

Posizionare i maritozzi abbastanza distanziati su una leccarda con i bordi rialzati foderata con carta forno o silicone e ricoprire con un’altra leccarda rovesciata, in modo che tra le due leccarde ci sia spazio sufficiente in altezza per l’aumento dei maritozzi in lievitazione. Anche questa volta ho appoggiato sopra alle leccarde la borsa dell’acqua calda per mantenere tutto tiepido per 3 ore.

A lievitazione terminata, preriscaldare il forno a 175°C. Intanto miscelare pari quantità di tuorlo e panna per la lucidatura e spennellare i maritozzi ben bene tutt’intorno. Questo gli darà un bell’aspetto lucido una volta cotti.

Cuocere a 175°C per 15 minuti, poi abbassare a 150° e proseguire per altri 10 minuti se si è usato lo sfarinato Lombardia o 8 minuti se si è usata la Ketomix.

Una volta sfornati, lasciare raffreddare completamente prima di tagliare per l’eventuale farcitura con la panna montata o con un gelato cheto.

Per mantenere al massimo la morbidezza dei maritozzi consiglio di tagliare e congelare quelli che non si mangiano subito e di scongelarli all’occorrenza lasciandoli fuori dal freezer 1 ora o con un rapidissimo passaggio in microonde.

Valori nutrizionali e ratio:

Macronutrienti espressi in grammi, al netto dei polioli e calcolati con la app Ketonet. Valori della lucidatura non inclusi in quanto utilizzati in quantità irrisorie

Per aumentare sensibilmente la ratio, nonché la golosità dei maritozzi, farcire con abbondante panna appena montata. Dopodiché addentare senza pietà mentre il maritozzo si vendicherà imbaffandovi di panna le guance ed il naso. A la guerre comme à la guerre…