Vitello tonnato decorato con cetriolini sott’aceto a fette e un paio di pomodorini gialli.
I piemontesi mi perdoneranno, la mia salsa tonnata non è quella tradizionale, ma la versione più comune imbastardita con l’aggiunta di maionese, una libertà giustificata dalla necessità di portare la ratio chetogenica della salsa a 2. Infatti le salse sono spesso un valido alleato per aumentare la quota di grassi nei piatti, aggiungendo una nota di gusto più fantasiosa del solo olio.
Ingredienti (per 4 porzioni): 104gr di tonno sott’olio sgocciolato (una scatoletta da 160gr) 15gr capperi sott’aceto o sotto sale 3 uova sode fredde (160gr) 30gr olio extravergine di oliva 60gr maionese (io ho usato Conad) qualche goccia di succo di limone sale q.b.
La preparazione non potrebbe essere più veloce: semplicemente frullare con un frullatore ad immersione tutti gli ingredienti, tranne la maionese. Incorporare infine la maionese nella salsa con una forchetta.
Valori nutrizionali:
Ratio chetogenica: 2.12
La salsa tonnata si usa per condire piatti freddi come il vitello tonnato, appunto. A me piace moltissimo anche sulle uova sode e sui cavolfiori lessati. Oppure ci faccio il “maiale tonnato” che si fa esattamente come il vitello tonnato usando il lombo di maiale al posto del girello di vitello.
A Pasqua in casa nostra non è mai andata tanto la colomba, ma mia mamma comprava spesso la pagnotta che il forno proponeva per almeno un mese a cavallo della Settimana Santa. Quella della mia infanzia era un pagnotta dolce, ma la pagnotta di Sarsina è dolce-salata e può essere consumata sia come dolce che insieme al salume, come per altro vuole la tradizione della colazione di Pasqua in Romagna, che abbina alla pagnotta l’uovo sodo benedetto ed il salame.
L’intaglio a forma di croce e tipicamente pasquale ed è un esplicito richiamo alla croce di Cristo. Per altro, l’intaglio a croce sui prodotti lievitati come il pane è sempre stato una forma di devozione ed un’invocazione di benedizione sul cibo (anche se qualche volta si trasforma in una specie di superstizione, come se potesse garantire la buona riuscita della lievitazione).
La ricetta tradizionale richiede che questa pagnotta sia arricchita di uvette e profumo d’anice. Addirittura le uvette andrebbero fatte rinvenire nel liquore all’anice, ma per chetonizzare la ricetta dovremo rinunciare alle uvette ed optare per una sostituzione meno zuccherina. Io ho deciso di usare l’uva fresca, in quantità contenuta per non aumentare troppo i carboidrati totali. Si potevano usare anche dei mirtilli ed i carboidrati finali sarebbero stati un pochino meno, ma non tanto, e non mi è sembrato che valesse la pena cambiare il gusto per un risparmio tutto sommato modesto. Per quanto riguarda il profumo d’anice non è necessario fare compromessi: si possono usare indifferentemente i semi d’anice o il liquore Varnelli secco. Io ho usato i semi perché li avevo mentre non avevo il liquore, ma per il sapore sarebbe stato meglio il liquore. Per altro, quest’ultimo ha un quantità di carboidrati veramente irrisoria, appena 1,3gr/100ml e, data la quantità minima che andrebbe in ricetta, diventa praticamente ininfluente sulla porzione finale.
Le quantità degli ingredienti che seguono sono per la realizzazione di due pagnotte. Ho scelto di procedere così perché gli impasti di una certa dimensione vengono meglio, il gancio della planetaria pesca meglio l’impasto e lo incorda in maniera più efficiente.
Vedrete che la preparazione della pagnotta è piuttosto lunga, ma ha il suo senso: la lunga lievitazione suddivisa in più passaggi (lievitino, riposo e lievitazione) migliora il risultato finale in termini di sapore, sofficità e conservabilità della pagnotta.
Ingredienti (per 2 pagnotte):
Per il lievitino: 10gr lievito di birra fresco 100gr acqua fredda 100gr Sfarinato Lombardia de Il Pane di Rivalta
Per l’impasto: 300gr Sfarinato Lombardia 50gr acqua 3 albumi (circa 120gr) freddi di frigo 60gr eritritolo 10gr proteine di siero del latte 20gr inulina 1 bustina di vanillina scorza grattugiata di mezzo limone non trattato 3 tuorli (circa 45gr) freddi di frigo 3gr di semi di anice schiacciati o frullati nel macinacaffè, o in alternativa due cucchiai di liquore secco all’anice Varnelli 80gr burro ammorbidito a temperatura ambiente 10gr sale 100gr uva fresca senza semi (scegliere gli acini più piccoli possibili)
Per la lucidatura: 1 tuorlo 15gr panna
La preparazione si può fare in uno o due giorni. Se si ha a disposizione solo un giorno, iniziare la mattina e cuocere la sera; se si può gestire la preparazione su due giorni, fare il lievitino prima di cena, impastare dopo cena, riposare in frigo la notte, e riprendere il giorno dopo di prima mattina per cuocere a ridosso del pranzo.
Preparare il lievitino in una ciotola, sciogliendo il lievito di birra nell’acqua, aggiungere lo sfarinato e mescolare grossolanamente con un cucchiaio finché lo sfarinato ha assorbito tutto il liquido. Coprire con la pellicola e lasciare lievitare a temperatura ambiente per 1 ora. Intanto togliere dal frigo il burro perché si ammorbidisca.
Quando il lievitino avrà riposato, versarlo nella ciotola della planetaria e aggiungere il resto dello sfarinato. Se si usa il liquore, togliere dalla quantità di acqua in ricetta due cucchiai di acqua e rimpiazzarli con due cucchiai di liquore. Versare l’acqua (o acqua+ liquore) nella ciotola della planetaria ed iniziare ad impastare con il gancio. Quando lo sfarinato avrà ben assorbito il liquido, ma l’impasto sarà ancora piuttosto arido e sbriciolato, aggiungere gradualmente gli albumi e continuare ad impastare finché l’impasto non si incorda bene attorcigliandosi sul gancio. Ci vorranno almeno 10minuti. L’incordatura dell’impasto è indispensabile per una bella lievitazione poi, quindi bisogna avere pazienza e non tagliar corto.
Continuando ad impastare, aggiungere gli altri ingredienti secchi, gli aromi e i tuorli un po’ alla volta, perché l’impasto farà fatica ad assorbirli. Insistere ad impastare finché l’impasto non è tornato bello uniforme ed elastico, attorcigliandosi sul gancio. Anche questa fase richiederà circa 10 minuti. Se vi sembra che l’impasto non assorba, fermate la planetaria, tirate giù l’impasto dal gancio, giratelo sottosopra e riprendete ad impastare (questo si può fare tutte le volte che volete).
Per ultimo incorporate il burro morbido un pezzo alla volta e continuate ad impastare per altri 10 minuti perché l’impasto assorba completamente ed uniformemente il burro. Infine aggiungete il sale ed impastate altri 3-4 minuti. N.B. Il sale si aggiunge sempre per ultimo negli impasti lunghi perché indurisce la maglia glutinica (infatti appena lo mettete vedrete che l’impasto si contrae). Se si mette troppo presto, la struttura dell’impasto si indebolisce o si strappa e poi non regge la massa quando si gonfia in lievitazione.
Mettere l’impasto in una ciotola, chiudere con pellicola e riporre in frigorifera a riposare. Il riposo può durare da minimo 1 ora a massimo 8-10. Più è lungo il riposo, migliore sarà il sapore e la struttura della pagnotta. Il fatto poi che il riposo sia fatto in frigorifero rallenterà enormemente la lievitazione, evitando che il lievito esaurisca troppo presto la sua forza e che l’impasto inacidisca.
Una volta terminato il riposo, impastare brevemente la massa a mano su una spianatoia eventualmente spolverata di sfarinato. Suddividere a metà l’impasto e lavorare i due pezzi separatamente. Con le mani unte di burro, allargare ogni pezzo sulla spianatoia, schiacciandolo con le mani. Infilare gli acini d’uva (senza romperli) nell’impasto, ripiegare i lembi verso l’interno per iniziare a coprire gli acini e arrotolare i bordi verso l’interno fino al centro. Rigirare l’impasto sotto sopra tenendolo in mano e continuare a rincalzare l’impasto con le dita sotto alla pagnotta, in modo che la superficie della palla si tenda gradualmente diventando liscia e regolare. Bisogna stare attenti che gli acini non affiorino e rimangano inglobati nella palla. Posizionare ciascuna palla nel suo stampo di carta (diametro 16cm).
Riporre a lievitare in un luogo tiepido ed umido (io questa volta ho usato come cella di lievitazione il forno spento e chiuso, in cui ho messo anche una pentola di acqua bollente fumante). Lasciare lievitare per almeno 2-3 ore finché l’impasto è raddoppiato di volume.
Da sinistra a destra: prima della lievitazione e dopo.
A lievitazione completata, togliere i due stampi e la pentola dal forno. Intagliare a croce la superficie delle pagnotte con una lama affilatissima o una lametta. L’incisione non deve essere profonda, non più di 5mm, e non deve scoprire gli acini d’uva, quindi se si intravvedono sotto la superficie bisogna cercare di evitarli. Miscelare tuorlo e panna in una tazzina. Spennellare con la mistura tutta la superficie delle pagnotte, evitando accuratamente il taglio.
Mentre le pagnotte continuano a riposare e a lievitare a temperatura ambiente, preriscaldare il forno a 160°C. Prima di infornare, mettere dei piccoli fiocchetti di burro nel taglio al centro della croce. Il burro serve perché con il calore del forno si scioglierà e colerà nel taglio mantenendolo umido, il che faciliterà l’apertura dell’intaglio quando la pagnotta si gonfierà durante la lievitazione in forno.
Infornare entrambe le pagnotte e cuocere a 160°C per 40-45 minuti. Per effetto della lucidatura, durante la cottura la superficie diventerà scura mentre l’intaglio deve rimanere più chiaro. Verso la fine della cottura si possono girare gli stampi in modo che l’esposizione al calore sia regolare tutt’intorno.
Sfornare e lasciare raffreddare completamente prima di servire.
Conservare chiusa in una busta di plastica e consumare nel giro di una settimana. Per prudenza, visto che l’uva manterrà la sua umidità e potrebbe fare la muffa, io conserverò la mia pagnotta in frigorifero e tirerò fuori la mia fetta una mezz’ora prima di consumarla, perché a temperatura ambiente, o appena intiepidita, sarà sicuramente più fragrante.
Valori nutrizionali e ratio chetogenica:
Macronutrienti espressi in grammi, al netto dei carboidrati non assimilabili dell’eritritolo, e calcolati con la app Ketonet.
La ratio è bassa, ma il contenuto di carboidrati per fetta è sufficientemente ridotto e non sarà troppo difficile farlo rientrare nel proprio piano per godersi questa pagnotta.
Con gli sfarinati de Il Pane di Rivalta ormai ci faccio praticamente tutto. Di solito mi ci vogliono un po’ di prove per bilanciare la componente liquida ma in genere arrivo al risultato senza troppi salti mortali. Con la pasta choux invece ho dovuto brigare parecchio perché agli sfarinati manca proprio un elemento imprescindibile per uno dei passaggi tecnici nella realizzazione degli choux, che è la gelatinizzazione degli amidi, senza la quale bignè e compagnia bella (zeppole, eclair e paris brest) non si gonfiano.
Ho già detto altre volte che ho iniziato a studiare tecniche di pasticceria seguendo le lezione professionali dello chef Luca Montersino e lo sottolineo ancora una volta perché, anche se io sono solo un’appassionata che nella vita fa altro, da appassionata di cucina chetogenica ogni giorno di più mi rendo conto che conoscere le tecniche è l’unico strumento per riuscire a chetonizzare con piena soddisfazione le ricette tradizionali. Se sai perché la preparazione tradizionale si comporta in un certo modo, poste le limitazioni dei cheto-ingredienti, capisci su cosa devi lavorare per aggirare l’ostacolo.
Quindi sono partita dalle indicazioni di Montersino, di cui c’è una versione semplificata per il grande pubblico che vi invito a guardare su RaiPlay ( La Pasta bigné – E’ sempre Mezzogiorno 09/10/2020 – YouTube ). Come spiega il maestro Montersino, la pasta choux deve subire due cotture: una in pentola per gelatinizzare gli amidi e una in forno per far gonfiare quella camicia di amidi e cuocere il tutto. Le farine chetogeniche per loro stessa natura devono avere percentuali irrisorie di amidi. Ricorderete infatti che quando leggete nella tabella nutrizionale “carboidrati totali .., di cui zuccheri …” la differenza fra carboidrati totali e zuccheri sono proprio gli amidi. Quindi usare una cheto-farina e sperare che si gelatinizzi qualcosa nella prima cottura è una pia illusione. Per ottenere lo stesso effetto di gelatinizzazione ho quindi aggiunto alla ricetta una quantità veramente molto piccola di bucce di psyllium, piccola abbastanza da non sentirne né il sapore né la consistenza alla masticazione ma sufficiente per mimare la gelatinizzazione e la legatura degli amidi che non ci sono. Questo trucco di per sé sarebbe sufficiente per ottenere che gli choux si gonfino, ma per stare dalla parte del sicuro ho utilizzato anche una quantità infinitesimale di bicarbonato di ammonio (cioè ammoniaca per dolci) che genera bolle molto grandi negli impasti molli e che Montersino stesso usa nella sua ricetta per le zeppole di San Giuseppe.
Dei due sfarinati de Il Pane di Rivalta, ho preferito usare il Ros Uni invece che il Lombardia perché la ricetta tradizionale richiede una farina debole e tra i due sfarinati quello che si comporta in maniera più simile è il Ros Uni.
Ingredienti (per 30 piccoli bignè): 71gr acqua 4,5gr bucce di psyllium tritate finissime nel macinacaffé 40gr burro 1 pizzico sale 1 pizzico eritritolo 37gr sfarinato Ros Uni 120gr uova sbattute (non montate) e qualche grammo in più a parte 0,15gr bicarbonato di ammonio
Ammollare le bucce di psyllium nell’acqua per almeno una mezz’ora (coprire il contenitore per evitare la benché minima evaporazione dell’acqua, che già è pochissima). Le bucce assorbiranno l’acqua completamente e creeranno un piccolo ammasso di gelatina appiccicosa.
Preriscaldare il forno a 250-270°C.
In un pentolino con il manico lungo (che è più facile impugnare saldamente per mescolare l’impasto) sciogliere su fuoco dolce il burro. Aggiungere la gelatina di psyllium, il sale e l’eritritolo e portare rapidamente a bollore mescolando con un cucchiaio di legno. Quando la miscela bolle, togliere dal fuoco, aggiungere rapidamente lo sfarinato e mescolare energicamente la palla di impasto molto denso che si formerà. Rimettere sul fuoco e continuare a cuocere. Con una farina tradizionale i grumi non si formerebbero, ma con lo sfarinato può succedere, quindi girare con energia per romperli finché l’impasto non sfrigola. Togliere dal fuoco.
Siccome la quantità di impasto è molto piccola, è meglio usare una frusta elettrica che il robot da cucina. Versare in una ciotola l’impasto caldo e lavorarlo con la frusta per farlo raffreddare. Svaporerà mentre lo si impasta. Quando ha perso un po’ di temperatura, aggiungere le uova a filo, non tutte insieme, per due motivi: l’impasto ci mette un po’ ad assorbirle e aggiungerle poco alla volta aiuta; inoltre la consistenza finale dell’impasto ben amalgamato non deve diventare troppo liquida, quindi la quantità di uova da aggiungere va regolata al momento, potrebbero volercene un po’ di più o un po’ di meno della quantità in ricetta. Per regolarsi bene sulla consistenza finale, bisogna tenere conto che l’impasto andrà dressato con una sac-à-poche quindi dovrà essere abbastanza morbido, ma non tanto fluido da allargarsi e perdere la forma una volta dressato. La consistenza dell’impasto quindi deve essere cremosa.
Da ultimo aggiungere il bicarbonato di ammonio e dare un’ultima bella mescolata per distribuirlo bene nell’impasto. E’ importante aggiungerlo per ultimo quando l’impasto è solo tiepido perché il bicarbonato di ammonio si attiva con il calore: se lo si aggiunge quando l’impasto è ancora caldo, reagisce subito e ci si gioca il suo potere lievitante prima di arrivare alla cottura in forno.
Trasferire l’impasto in una sac-à-poche con bocchetta lisca da 10mm. Per evitare che l’impasto scappi fuori dalla bocchetta e sgoccioli in giro mentre ancora si riempie la sacca, io ho l’abitudine di pinzare la sacca a monte della bocchetta e poi anche a chiusura della sacca riempita. Questo mi consente di fare un lavoro più pulito.
Preparare una teglia con un tappetino microforato. In mancanza del tappetino, ungere pochissimo una teglia e rimuovere l’eccesso di burro con un pezzo di carta da cucina perché l’impasto un po’ dovrà attaccare, altrimenti l’impasto non cresce. Non usare carta da forno. Dressare l’impasto in mucchietti abbastanza distanziati perché non si attacchino tra di loro gonfiandosi. Perché siano più bellini da cotti, si può appiattire la puntina lasciata dalla bocchetta toccandola con la punta di un dito bagnata d’acqua.
Infornare subito nel forno al massimo (250-270°C). Cuocere per 2 minuti, poi abbassare la temperatura a 170°C e cuocere per altri 20 minuti. Si può aprire per qualche secondo il forno per far uscire l’umidità solo alla fine della cottura, non prima dei 18 minuti. A fine cottura, spegnere il forno e socchiudere la porta per lasciare che si asciughino un altro po’. Montersino usa la tecnica della cottura a forno spento (cioè forno al massimo, spento 7 minuti e riacceso a 170°C per altri 13 minuti) ma il mio forno da spento perde temperatura ad una velocità pazzesca, quindi la cottura che ho descritto è un compromesso che per me funziona bene. Il solo rischio è che se la ventola soffia piuttosto forte gli choux potrebbero venire un po’ storti o staccarsi dalla teglia durante la cottura e non gonfiare abbastanza. Per questo il tappetino microforato è l’ideale.
Una volta raffreddati, gli choux si possono tagliare orizzontalmente e farcire a piacimento con farce dolci o salate. Non proverei a farcirli con la bocchetta a siringa perché dentro non saranno mai perfettamente vuoti come un vero bignè. Devo testare altre due possibili modifiche alla ricetta per vedere se riesco a farli venire ancora più vuoti dentro. Se funzionano, vi aggiornerò e a quel punto si potranno farcire anche con la siringa lasciandoli interi.
E’ consigliabile farcirli subito e conservarli farciti in frigorifero. Se non farciti, si conservano abbastanza fragranti per un paio di giorni in una scatola chiusa. Vuoti non li conserverei più a lungo perché dopo perdono tutta la loro fragranza.
Valori nutrizionali (quelli relativi al singolo pezzo varieranno in base a quanti pezzi esattamente riuscite a dressare quindi faccio solo qualche esempio) e ratio chetogenica:
Macronutrienti espressi in grammi, al netto dei carboidrati dell’eritritolo e calcolati con la app Ketonet
Giocando con le forme, si possono realizzare varie preparazioni con la pasta choux: – bignè, dressati a pallina con la bocchetta liscia e farciti dolci o salati; – éclair, dressati in una striscia lunga con bocchetta liscia e farciti con panna montata; – zeppole di San Giuseppe, dressati a cerchio con la bocchetta rigata, cotti in forno o fritti o magari anche nella friggitrice ad aria, e farciti sopra con una cheto-crema pasticcera (a scelta questa o questa), una spolverata di fibre vanigliate ed un lampone per fare colore (assolutamente no amarena sciroppata). – paris brest, dressati a cerchio grande e tagliati a metà per essere farciti
Mi sono infilata nel tunnel dei biscotti di pasta frolla, scusate, ma continuano a venirmi in mente possibili varianti sul tema e la tentazione di provarle subito è più forte di me. A mia discolpa oggi posso solo dire che questa idea me l’ha fatta venire mia figlia che voleva qualcosa di sostanzioso, poco voluminoso e salato per una merenda da consumare velocemente a scuola. A seguito di questa richiesta, ho finalmente tirato fuori una ricetta di Nigella Lawson che mi ero già da tempo ripromessa di provare e l’ho fatta tal quale per mia figlia. E poi già che c’ero ho fatto anche la versione chetonizzata semplicemente sostituendo la farina sia con la Ketomix Pasta che con lo Sfarinato Ros Uni. Ne sono venuti fuori dei biscottini salati sfiziosi perfetti per un cheto-aperitivo.
Ingredienti (per 28 biscotti): 150gr Ketomix Pasta oppure Sfarinato Ros Uni 100/110gr burro a pezzi 75gr parmigiano grattugiato finemente 1 uovo medio 1,5/2gr sale Pepe nero macinato q.b. (se piace)
La quantità di burro dipende dalla scelta della cheto-farina: con la Ketomix se ne usa un po’ meno perché è già abbastanza grassa, con il Ros Uni meglio metterne di più perché è un po’ più secco.
Il parmigiano è importante che sia grattugiato piuttosto che frullato perché l’impasto deve essere molto raffinato per poter usare la spara biscotti. Se si frulla il parmigiano invece che grattugiarlo, l’impasto verrebbe più grossolano ed eventuali pezzetti più grossi potrebbero incastrarsi nella trafila della spara biscotti con la conseguenza che i biscotti potrebbero risultare un po’ deformati.
Mescolare velocemente e brevemente gli ingredienti con un robot da cucina o anche a mano. Inserire l’impasto nella sparabiscotti, formare i biscottini direttamente su un tappetino di silicone ben pulito e steso su una leccarda grande.
Lasciare i biscottini a compattarsi in frigo una ventina di minuti mentre si preriscalda il forno a 160°. Quindi infornare e cuocere per 18-20 minuti, girando la leccarda a metà cottura perché la doratura dei biscottini sia uniforme tutt’intorno.
Sfornare e lasciare raffreddare completamente prima di servirli.
Si conservano bene per una settimana a temperatura ambiente in una scatola a chiusura ermetica. Se ne possono fare in quantità e poi surgelarli. In questo caso andranno tirati fuori dal freezer 20 minuti prima di ripassarli in forno per 5 minuti perché sprigionino il loro buon profumino di formaggio e poi servirli.
Valori nutrizionali:
Naturalmente la ratio cambia a seconda della scelta della cheto-farina usata: 2,56 con la Ketomix Pasta e 1,54 con il Ros Uni.
Il costo di un biscottino non arriva a 0,13€ (calcolando solo gli ingredienti), quindi li consiglio vivamente come opzione furba piuttosto che un ben più costoso cheto-snack industriale.
La crescia pasquale chetogenica l’avevo già fatta con successo l’anno scorso e la ritenevo già un successo. Quest’anno, sull’onda della rivisitazione in chiave low carb delle ricette di lievitati che mi piacciono, ho deciso di trasformare ulteriormente questa pagnotta originaria delle Marche ed è stato amore a primo morso. Questa versione rispetto alla versione chetogenica ha il vantaggio di essere meno calorica, il che non guasta visto che a Pasqua si mangia tipicamente accompagnata da uova sode e salame che già sono uno companatico sostanzioso di per sé e che ne fanno una signora colazione. Poi, comunque, 4gr circa di carboidrati a porzione sono abbastanza poche da renderla utilizzabile anche in regime chetogenico.
Ingredienti: 200gr sfarinato Lombardia de Il Pane di Rivalta 140gr acqua fredda una generosissima macinata di pepe nero 6gr lievito di birra compresso 60gr uovo (1 uovo grande) 50gr parmigiano reggiano grattugiato 50gr pecorino giglio sardo (Argiolas) grattugiato 15gr burro a temperatura ambiente 2-4gr sale (a seconda di quanto sono sapidi i formaggi) 70gr pecorino giglio sardo (Argiolas) a cubetti di 1cm circa
Sciogliere il lievito nell’acqua fredda. Versare in planetaria lo sfarinato, il pepe e l’acqua con il lievito ed impastare con il gancio, a lungo ed incordare bene. Lo Sfarinato Lombardia è molto appiccicoso all’inizio, quindi aiutatevi con una spatola per staccare l’impasto dalla ciotola della planetaria e spingerlo verso il gancio perché lo raccolga.
Aggiungere l’uovo ed il formaggio grattugiato e continuare ad impastare finché l’impasto iniziale avrà incorporato l’aggiunta. La consistenza dell’impasto a questo punto sarà molle, non liquida ma non più ben formato come sarebbe quello del pane. Continuare ad impastare aggiungendo il burro ed il sale ed incorporare bene. Da ultimo aggiungere il formaggio a dadini ed impastare brevemente per evitare che i dadini si schiaccino.
Versare l’impasto in uno stampo tondo del diametro di 14cm a sponde alte foderato di carta da forno e livellare la superficie. Coprire con un panno umido e mettere a lievitare su una piastra o una padella intiepidita (e che andrà intiepidita ripetutamente ogni volta che si raffredda, ovviamente togliendo lo stampo della pagnotta) fino a che il volume dell’impasto è raddoppiato (circa 3 ore).
Preriscaldare il forno a 175°C. Vaporizzare con uno spruzzino la superficie della pagnotta ed infornarla. Cuocere a 175°per 25-30 minuti e poi abbassare la temperatura a 160°C e cuocere per ulteriori 30 minuti. Sfornare, togliere la pagnotta dallo stampo e rimettere in forno su una gratella per altri 10 minuti e poi sfornare definitivamente.
Lasciare raffreddare bene prima di tagliare. Servire a fette accompagnata con salame o con altro salume. Se la si deve conservare, proteggerla in un contenitore a tenuta stagna o ben chiusa in un sacchetto di plastica.
Valori nutrizionali:
Macronutrienti espressi in grammi e calcolati con la app Ketonet. Per la colazione una fatta da 1/6 è più che sufficiente, mentre una fetta da 1/4 può andare bene per un brunch.
Ratio chetogenica: 0,55
Per questa ricetta ho utilizzato il pecorino Giglio Sardo Argiolas. I valori nutrizionali li ho scaricati dal sito del produttore e li riporto qui di seguito:
Chiamatela brisée o sablée come preferite ma la sostanza non cambia: questa è la pasta perfetta per fare la base di qualsiasi torta salata, o quiche se vogliamo continuare con la nomenclatura francese. E’ in tutto e per tutto uguale a quella fatta con la farina di frumento, stessa friabilità sia appena sformata che riscaldata e, udite udite, stesso gusto.
L’idea di usare lo Sfarinato Ros Uni de Il Pane di Rivalta mi è venuta a seguito di un errore. Lo Sfarinato Ros Uni è specifico per fare la pasta, ma una volta ho provato ad usarla per fare un dolce lievitato in sostituzione dello Sfarinato Lombardia, di cui ero rimasta a corto. Il risultato era buono di sapore ma totalmente sbagliato in quanto a consistenza, non aveva elasticità e si sbriciolava al taglio. E così mi è venuta l’idea. Questa sabbiosità è perfetta per la pasta brisée che non deve diventare elastica, ma appunto rimanere friabile e sabbiosa.
Ingredienti (ricetta base): 40gr Sfarinato Ros Uni 16gr burro chiarificato freddo 20gr acqua fredda 1gr sale
Per quanto la preparazione sia di una semplicità assoluta, l’ordine di impasto degli ingredienti è essenziale per ottenere la consistenza giusta. Nel robot da cucina, frullare energicamente e brevemente lo sfarinato ed il burro fino ad ottenere grosse briciole di burro infarinato. Questa è la “sabbiatura”, che si fa normalmente anche quando si fa una brisée classica per sigillare le proteine della farina ed impedire loro di legarsi e di diventare elastiche.
Ridurre la velocità di impasto, aggiungere il sale e quasi tutta l’acqua. Le briciole formeranno così una palla di impasto che non deve attaccarsi alla brocca del robot. Non bisogna mettere subito tutta l’acqua per evitare che l’impasto venga troppo umido e appiccicoso (a volte in effetti ne basta meno di quella indicata in ricetta). Si fa sempre in tempo ad aggiungerne finché si forma la palla e tanto basterà. Comunque, impastare solo lo stretto indispensabile perché si formi la palla. Infatti, più a lungo si impasta, più si forma glutine, più la pasta diventa gommosa invece che friabile.
Lasciare riposare l’impasto in frigorifero per almeno 15-20 minuti avvolto in una pellicola prima di utilizzarlo. Se noterete dei puntini bianchi nell’impasto non preoccupatevi, è il sale che sta assorbendo l’acqua. Comunque l’aspetto puntinato sparirà in cottura.
Stendere l’impasto con il mattarello su una spianatoia, eventualmente usando una spolverata di sfarinato perché non si attacchi. Lo spessore ideale è 3-4 millimetri. E poi utilizzare a proprio piacimento: per foderare uno stampo per una quiche tipo questa; tagliato a strisce o a riquadri per farci dei cracker; per fare dei saccottini farciti di verdure stufate, ecc.
Foderare sempre lo stampo o la teglia con carta da forno perché, pur essendo un impasto grasso, potrebbe attaccarsi. La temperatura di cottura è 175° fino a leggera doratura.
Valori nutrizionali:
Macronutrienti espressi in grammi e calcolati con la app Ketonet. I valori nella colonna di destra fanno riferimento a 100gr di pasta a crudo.
Ratio chetogenica: 1,42
Tabelle di moltiplicazione proporzionale:
Con la ricetta base ci viene il guscio per una quiche monoporzione del diametro di 10-12cm. Con il triplo della ricetta base ci viene il guscio per uno stampo da 20cm di diametro.
Non sto pubblicando molto in questo periodo. Il tempo per le sperimentazioni certamente non mi mancherebbe, ma la bilancia ultimamente mi ha messo in guardia (ehm… troppa frutta secca, temo) quindi mi tengo un po’ a freno. Tra l’altro da qualche anno ho scelto di non mangiare dolci in Quaresima, quindi metà delle possibili preparazioni sono rimandate a dopo Pasqua.
Però, non preparare nulla di speciale per questa Pasqua mi dispiaceva e quindi ho rispolverato questa ricetta che avevo fatto l’anno scorso e che rifarò sicuramente a brevissimo.
Ingredienti per la dose minima (3 porzioni): 40gr farina di mandorle 20gr Ketomix Pan setacciata o Ketomix Pasta 20gr pecorino giglio sardo grattugiato grosso o a cubetti 10gr parmigiano grattugiato 1 uovo grande 30gr latte 20gr burro fuso 1 cucchiaino raso di lievito istantaneo per salati Sale q.b.
Mescolare tutti gli ingredienti nel mixer o con una frusta a mano. Non c’è bisogno di impastare molto perché è comunque un impasto rustico. Versare il composto in uno stampo a cerchio da 12cm foderato di carta da forno. Cuocere in forno ventilato a 175° per 25 minuti.
Valori nutrizionali per 1 porzione: Kcal: 232 Carboidrati totali: 1,22gr (al netto dei carboidrati dei polioli della farina Ketomix) Proteine: gr 10,42 Grassi totali: gr 19,81
La ratio è 1,7.
Il costo di una porzione è circa 0,70€ (calcolando solo gli ingredienti).
Visto che questa è una ricetta già collaudata, per questa Pasqua ne farò una quantità maggiore di quella base ed utilizzerò uno stampo più grande. Non mi azzarderei però a tentare di farla altissima in uno stampo relativamente piccolo e alto come per la crescia tradizionale (che si sviluppa in altezza come un panettone) perché temo che questo impasto non regga quel genere di lievitazione. Oppure si potrebbe aggiungere un po’ di glutine per rafforzare la struttura dell’impasto e tentare l’impresa. C’è margine per le sperimentazioni…
Quando ci si deve portare il pranzo per mangiare fuori casa, la soluzione più pratica è farsi un panino, ma fare il pane senza la farina di frumento è una delle keto-sfide che ancora non ho del tutto vinto. In rete si trovano una gran quantità di ricette di pane e, salvo rarissime eccezioni, contengono tutte le uova. L’uovo infatti aiuta a creare un impasto che stia insieme (come farebbe il glutine con l’acqua) e che gonfi in cottura simulando la lievitazione, ma ha sapore di uovo, ovviamente, e non un sapore neutro. Ecco, il mio obbiettivo era quello di fare un pane che non sapesse di frittata e con questa ricetta ora posso farmi un praticissimo pan carré e farcirlo con quello che mi va senza avere vincoli di gusto.
Ingredienti per 12 fette: 40gr semi di chia 130gr acqua 50gr farina di mandorle 50gr semi di canapa decorticati 40gr semi di girasole 40gr semi di sesamo 40gr semi di lino 30gr olio extravergine di oliva 165gr Certosa Galbani (un panetto) sale q.b.
Le prime volte che ho fatto questa ricetta mettevo ad ammollare i semi di chia in acqua fino a che non l’avessero assorbita tutta e poi aggiungevo tutti gli altri ingredienti, ma ho visto che il risultato non cambia se si amalgamano tutti gli ingredienti insieme fin da subito e poi si lascia l’impasto a riposare per 15 minuti.
La stesura dell’impasto è la parte della preparazione che richiede un po’ più di attenzione. Mettere su un tagliere un foglio di carta da forno grande quanto il fondo di una leccarda, versarci sopra tutto l’impasto e abbozzare un rettangolo. Stendere sull’impasto un foglio di pellicola grande quanto il foglio di carta da forno sottostante e con un piccolo mattarello stendere l’impasto in forma rettangolare fino ad uno spessore di circa 0,5cm. La pellicola impedisce all’impasto di appiccicarsi al mattarello.
Dovrete correggere un po’ la forma del bordo dell’impasto steso, perché difficilmente viene un rettangolo regolare. Rimuovere la pellicola e aiutarsi con una spatolina, o con le mani bagnate, per pareggiare i bordi. Questa operazione consente dopo la cottura di ottenere al taglio delle mattonelle regolari, senza sprechi e di evitare che i bordi si bruciacchino e si induriscano se si sono troppo assottigliati.
Trasferire l’impasto così steso sulla carta da forno facendolo scivolare dal piano di lavoro in una leccarda. Infornare in forno preriscaldato a 150-160° per 30 minuti. Sorvegliate la cottura. L’impasto si imbrunirà in superficie (è il formaggio che si cuoce) ma non deve diventare troppo scuro, altrimenti invece che tostarsi solo in superficie diventerà duro anche dentro.
Appena sfornato, trasferirlo su un tagliere e tagliarlo il più regolarmente possibile in quattro da un verso ed in tre dall’altro, per ottenere 12 mattonelle (forse dovrei dire fette invece che mattonelle, ma qui non si affetta proprio nulla…).
Questo keto-pan carré rimane un po’ umido all’interno, quindi è meglio tenerlo in frigo e consumarlo entro qualche giorno per evitare che si formi muffa. Io lo conservo già tagliato in freezer, in modo da avercelo sempre a disposizione per preparare un panino al volo. Se non intendo mangiare subito il panino (per esempio se lo preparo la mattina per il pranzo), farcisco il pane anche senza scongelarlo.
Il costo di una mattonella è di circa 0,50€, quindi circa 1€ per fare un panino. Neanche tanto se confrontato con i prodotti chetogenici industriali.
Per l’uso che ne faccio io del keto-pan carré, la dose minima è più che sufficiente, ma, in caso di necessità, qui di seguito trovate le quantità degli ingredienti già moltiplicate per produzioni maggiori (magari per un cheto-picnic!).
E adesso… largo alla fantasia! Farciture per tutti i gusti!
Mozzarella, salame e una foglia di lattugaSoluzione ideale nei giorni di superlavoro in trasferta: prosciutto cotto e stracchino. Ci starebbero bene anche due foglie di rucola.
E perché non utilizzarlo come base per delle tartine per un antipasto?