Gyoza chetogenici

Uno dei piatti giapponesi che ho imparato ad apprezzare in Italia invece che in Giappone sono i gyoza. Ancora non mi spiego come io abbia potuto mancarli in ben due viaggi nella terra del Sol Levante, ma tant’è. Anzi, questo fatto mi fa ben sperare che ci siano altre prelibatezze locali che aspettano di essere scoperte e che valgano la pena di un terzo viaggio.

Intanto mi sono divertita a chetonizzare questo piatto. La mia amica Alice, profonda conoscitrice della cultura nipponica, mi ha fornito una dettagliatissima ricetta originale che ho dovuto semplificare per ridurre al massimo i carboidrati, ma nonostante le licenze questi cheto-gyoza sono assolutamente godibili. Per inciso, se vi state domandando cosa c’entra il Giappone con quelli che molti conoscono come “ravioli cinesi”, Alice mi ha spiegato che questo piatto è effettivamente di origine cinese ed è approdato in Giappone nel 1700/1800, quando veniva servito come complemento dei ramen. Nel tempo poi gli ingredienti del ripieno sono un po’ cambiati. La nota caratterizzante del gusto dei gyoza giapponesi è l’aglio.

La preparazione è un po’ lunghetta perché i ravioli vanno lavorati uno ad uno a mano, ma il divertimento e la soddisfazione sono assicurati. Indicativamente ci vuole un’ora per la preparazione della ricetta base.

Ingredienti (per 16 pezzi):

Per la pasta:
80gr Sfarinato Ros Uni de Il Pane di Rivalta
60gr acqua bollente

Per il ripieno:
100gr salsiccia
80gr cavolo cappuccio verde
10gr olio di sesamo
10gr eritritolo
10gr salsa di soia
un pizzico di zenzero in polvere
un pizzico di sale
mezzo spicchio d’aglio

Per cuocere:
20gr olio di girasole e di sesamo
100-120gr acqua

Per condire:
salsa Teriyaki zero (reperibile online)

Prima di tutto preparare la farcia per lasciarla marinare un po’. Togliere la pelle alla salsiccia e schiacciarla con una forchetta. Tritare il cavolo in piccoli pezzi e mischiarlo alla salsiccia. Condire con olio, eritritolo, zenzero, sale e salsa di soia e da ultimo aggiungere il mezzo spicchio d’aglio che lascerete in un pezzo unico se volete solo insaporire il ripieno e poi toglierlo, oppure schiacciato se vi piace un gusto più deciso. Riporre temporaneamente in frigorifero.

Impastare lo sfarinato con l’acqua bollente. L’acqua calda inibisce la formazione del glutine e rende più facile stendere l’impasto perché sarà meno elastico. Inoltre più alta è la temperatura dell’acqua più l’impasto ne assorbe, risultando più idratato e più rapido a cuocere, il che per la pasta fatta con lo sfarinato Ros Uni è particolarmente importante, perché ha tempi di cottura doppi rispetto alla pasta normale e spesso rischia di rimanere troppo al dente.

Dividere l’impasto in palline da 8gr tutte uguali per ottenere poi una cottura uniforme. Con un mattarello, stendere ogni pallina in una piccola sfoglia larga circa 10cm, infarinando la superficie di lavoro con un po’ di sfarinato se serve.

Togliere il pezzo d’aglio dalla farcia se è stato lasciato intero. Mettere un mucchietto di farcia al centro di ogni sfoglia, inumidire i bordi con acqua, ripiegare le sfoglie a mezzaluna e saldare i bordi con le dita pieghettandoli.

Tutte le foto in questo articolo virano un po’ al giallo perché le ho fatte con luce artificiale, ma la pasta dei gyoza è bianca, perché non contiene uova.

Appoggiare i gyoza con la crestina in su in una padella che possa contenerli tutti, con olio di girasole sul fondo. Creare un motivo concentrico fino a che non finisce lo spazio.

Iniziamo la cottura.

Mettere la padella su fuoco vivo. Attendere che sfrigoli appena e versare l’acqua sul fondo. Chiudere bene con un coperchio e tenere chiuso. Dopo circa 15 minuti, quando l’acqua sarà tutta vapore e la pasta dei gyoza sarà traslucida, togliere il coperchio e lasciare friggere fino a che il fondo sarà dorato e l’acqua completamente evaporata. Aggiungere un filo di olio di sesamo. Se vi piace la crosticina, stendete i gyoza sul fianco perché si rosolino ulteriormente. A proposito del tempo di cottura mi preme rassicurarvi che è sufficientemente lungo da garantire la perfetta cottura della salsiccia nel ripieno; inizialmente ero un po’ dubbiosa a riguardo ed ero stata tentata di precuocere la salsiccia, ma non è proprio necessario.

Quasi pronti. Si vede sul fondo della padella ancora un po’ di liquido di cottura che deve finire di evaporare.

Servire subito ben caldi e condire a piacere con salsa teriyaki zero.

Valori nutrizionali e ratio (esclusa la salsa teriyaki):

Valori nutrizionali espressi in grammi, al netto dei carboidrati dell’eritritolo, calcolati con la app Ketonet.

Alice, che è una purista, si è raccomandata di non omettere l’aglio e anche di non usare l’olio di oliva perché il sapore di quest’ultimo è totalmente estraneo alla ricetta originale, ma, se la vostra dieta non prevede l’uso di olii di semi, sentitevi autorizzati a fare questa sostituzione. Il gusto sarà meno autentico, ma ugualmente godibilissimo.

***

Esistono anche varianti di pesce dei gyoza, con salmone o gamberi, che però sono solo low-carb, perché il pesce contiene molti meno grassi della salsiccia, quindi la ratio della ricetta si abbassa sensibilmente. La preparazione è identica. Mi sento solo di raccomandare di non sminuzzare i gamberi troppo finemente perché poi il ripieno diventa una specie di polpetta compatta.

Valori nutrizionali e ratio della variante low-carb con salmone (esclusa la salsa teriyaki):

Valori nutrizionali e ratio della variante low-carb con mazzancolle (esclusa la salsa teriyaki):

Salsa tonnata

Vitello tonnato decorato con cetriolini sott’aceto a fette e un paio di pomodorini gialli.

I piemontesi mi perdoneranno, la mia salsa tonnata non è quella tradizionale, ma la versione più comune imbastardita con l’aggiunta di maionese, una libertà giustificata dalla necessità di portare la ratio chetogenica della salsa a 2. Infatti le salse sono spesso un valido alleato per aumentare la quota di grassi nei piatti, aggiungendo una nota di gusto più fantasiosa del solo olio.

Ingredienti (per 4 porzioni):
104gr di tonno sott’olio sgocciolato (una scatoletta da 160gr)
15gr capperi sott’aceto o sotto sale
3 uova sode fredde (160gr)
30gr olio extravergine di oliva
60gr maionese (io ho usato Conad)
qualche goccia di succo di limone
sale q.b.

La preparazione non potrebbe essere più veloce: semplicemente frullare con un frullatore ad immersione tutti gli ingredienti, tranne la maionese. Incorporare infine la maionese nella salsa con una forchetta.

Valori nutrizionali:

Ratio chetogenica: 2.12

La salsa tonnata si usa per condire piatti freddi come il vitello tonnato, appunto. A me piace moltissimo anche sulle uova sode e sui cavolfiori lessati. Oppure ci faccio il “maiale tonnato” che si fa esattamente come il vitello tonnato usando il lombo di maiale al posto del girello di vitello.

Focaccia pugliese in due versioni: cheto-compatibile e chetogenica.

Focaccia realizzata con Sfarinato Lombardia

Ho imparato a fare la focaccia pugliese a casa di mio marito con la ricetta della mamma di mio suocero, originaria di Mola di Bari. Fragrante come il pane, ma molto più condita, la focaccia pugliese è una di quelle leccornie che, prima di rendertene conto, te ne sei mangiata il doppio di quella che intendevi, quindi far danni è un attimo.

Un keto-amico mi ha sfidata a fare la versione cheto e l’ho accontentato volentieri perché un giorno avevo intenzione di fare la pizza, ma mi sono dimenticata di comprare la mozzarella… Quindi questa ricetta è dedicata a te, Mauro, per avermi salvato dal rimanere senza cena!

La base della ricetta è quella del mio pane realizzato con lo sfarinato Lombardia de Il Pane di Rivalta, ma viene benissimo (e con una ratio ben più alta) anche con la Ketomix Pizza e Pane di KFT Ketofoodtherapy.

Nella ricetta originale nella farcitura ci sono anche cubetti di caciocavallo, che si potrebbero usare anche qui. Io questa volta non li ho messi perché poi mi piace accompagnare questa focaccia con del formaggio molle.

Ingredienti (dose minima, 4 porzioni):
Per l’impasto:
200gr sfarinato Lombardia de Il Pane di Rivalta*
140gr acqua fredda*
6gr lievito di birra compresso
5gr sale
30gr olio extravergine d’oliva

Per la farcitura:
10gr olio extravergine d’oliva per lo stampo
30gr pomodoro datterino (1 pomodorino)
sale q.b.
20gr olive nere
10gr olio extravergine d’oliva
origano q.b.

*Se si usa la Ketomix Pizza e Pane, bisogna ridurre la quantità di acqua da 140gr a 115gr.

Per l’impasto vi rimando alla ricetta del mio pane. L’unica differenza è che la focaccia deve essere untissima, quindi il tanto olio previsto in ricetta ci metterà un po’ ad essere assorbito nell’impasto e bisognerà impastare ancora più a lungo. Quando l’impasto è pronto, ungere una teglia a sponde alte o uno stampo da dolci tondo del diametro di 16cm. Mettere l’impasto nella teglia e schiacciarlo con le dita per allargarlo alla dimensione dello stampo. Non importa se la superficie rimane irregolare.

Porre a lievitare per almeno 2 ore in luogo tiepido ed umido. Ultimamente la lievitazione in forno spento chiuso con all’interno anche un pentolino pieno di acqua bollente fumante è il sistema che mi dà più soddisfazione.

Preriscaldare il forno a 160-170°C. Intanto tagliare a cubetti il pomodorino e salarlo. Quando il forno ha raggiunto la temperatura, farcire la focaccia schiacciandoci dentro i cubetti di pomodoro sgocciolato e le olive, condire con l’olio ed una spolverata di origano a piacere.

Infornare e cuocere a 160-170°C per 30-40 minuti. Una volta cotta, togliere dalla teglia e lasciare intiepidire su una gratella prima di tagliare e servire, accompagnata da una bella insalata e salume o formaggio, a secondo di quello che il vostro piano nutrizionale vi consente.

E se vi sfiorasse il sospetto che questa focaccia sia uno di quei succedanei che fanno solo bella figura in foto, vi dico solo che mio marito, che aborre i miei “veleni”, non ci voleva credere che il profumo che invadeva la cucina non era quello di una focaccia “normale”…

Valori nutrizionali e ratio chetogenica:

Macronutrienti espressi in grammi. Valori nutrizionali calcolati con la app Ketonet.

Se realizzata con lo sfarinato Lombardia, questa focaccia è vegana; con la Ketomix Pizza e Pane (che contiene albume d’uovo) è vegetariana. In ogni caso non contiene né soia, né lattosio.

Entrambe le “farine” si acquistano online direttamente dai produttori:
– Sfarinato Lombardia sul sito de Il pane di Rivalta
– Ketomix Pizza e Pane sul sito di Ketofoodtherapy

Passatelli cheto-compatibili

Appena si abbassano le temperature in Romagna facciamo subito i passatelli in brodo. Prima giornata fredda d’autunno? Passatelli. Fuori diluvia? Passatelli. Aspettiamo solo una scusa metereologica e… via! Passatelli! Sono il nostro comfort food, un pasto piuttosto sostanzioso e rapidissimo da preparare. Bisogna solo tenere del brodo strategicamente pronto in freezer per cuocerli (per pietà, niente brodo di dado). Il brodo di carne sarebbe l’optimum, ma anche il brodo vegetale va benissimo.

Sono un ottimo piatto unico e facendone un uovo a testa ne viene una bella porzione. Siccome è una ricetta molto usata anche per i pranzi o le cene di magro di Natale e Pasqua dove poi sia mangia anche un secondo, con la dose di un uovo ci si mangia bene anche in due.

Ingredienti (ricetta base):
50gr pangrattato classico Ketofoodtherapy o pangrattato fatto in casa con lo sfarinato Ros Uni (ricetta qui)
50gr parmigiano reggiano grattugiato molto fine
0,5gr xantano
1 uovo medio (53gr)
un pizzico di sale
scorza grattugiata di mezzo limone
noce moscata grattugiata a piacere

Lo xantano serve a dare più consistenza ai passatelli, che altrimenti in cottura si spezzano (cosa che non succederebbe con un pangrattato di farina di frumento non condito, che però non si può usare in chetogenica). Personalmente trovo che abbondare con gli aromi in questa ricetta sia una buona idea.

Impastare a mano tutti gli ingredienti dentro ad una ciotola. Deve venire un impasto della stessa consistenza della pasta frolla. Se l’uovo è un po’ grandino e l’impasto è troppo cremoso, compensare aggiungendo un pochino di pangrattato in più. L’impasto non deve diventare troppo duro però, altrimenti si fa fatica a “schiacciarlo”.

Per formare i passatelli si può usare il ferro apposito o lo schiacciapatate con i fori grandi. Schiacciare una porzione per volta e lasciar cadere i passatelli così formati in una ciotola. Far scorrere una lama di coltello lungo la superficie della trafila per farli staccare tutti.

Passatelli crudi realizzati con il pangrattato fatto in casa con lo sfarinato Ros Uni
Passatelli realizzati utilizzando il pangrattato pronto KFT

Portare il brodo a bollore e tuffarci i passatelli. Allargarli quel tanto che basta perché prendano tutta la larghezza della pentola, mettere il coperchio, riportare il brodo a bollore, poi abbassare al minimo e cuocere per 3-4 minuti. Non rimestare né toccare i passatelli durante la cottura per evitare che si spacchino.

Servire subito bollenti.

Passatelli realizzati con pangrattato Ketofoodtherapy
Passatelli realizzati con pangrattato fatto in casa con Sfarinato Ros Uni e sanza xantano. L’assenza di xantano rende i passatelli cotti molto morbidi e con una forma poco definita.

Una volta cotti i passatelli vanno consumati subito, perché più si aspetta più diventano molli.

Se si vogliono preparare in anticipo e conservare, si possono surgelare crudi e tuffare ancora congelati nel brodo per cuocerli. In questo caso sarà bene che il brodo sia abbondante per evitare che perda troppo la temperatura quando ci si buttano i passatelli congelati.

Valori nutrizionali e ratio:

La ratio non arriva a 1 quindi non si tratta di una ricetta propriamente chetogenica, ma la quantità di carboidrati a porzione è sufficientemente bassa da rendere questa ricetta cheto-compatibile. Per aumentare un po’ la ratio un brodo di carne piuttosto grasso sarebbe perfetto. Meglio ancora se a base di cappone.

Calcolo dei macronutrienti delle marmellate low-carb fatte in casa (e riassunto delle puntate precedenti sulla preparazione)

Marmellata di more e fragole.

I prodotti industriali hanno indubbiamente due grossi vantaggi: innanzitutto ovviamente la disponibilità immediata, che non comporta altro lavoro che l’acquisto del prodotto stesso, e poi l’omogeneità nel tempo, perché il processo industriale consente di avere un prodotto con caratteristiche e valori nutrizionali standardizzati e costanti.

Per contro, fare la marmellata in casa sicuramente comporta un certo dispendio di tempo, ma ci permette di scegliere la varietà della materia prima (che incide sul profumo), la quantità di zucchero aggiunto (che incide sulle calorie) e l’uso o meno di additivi e aromi. Senza contare la soddisfazione dell’autoproduzione che è sempre un grande bonus.

Quando si fa la marmellata in casa il prodotto non è mai omogeneo tra una produzione e l’altra. Il grado di maturazione della frutta è ogni volta diverso e, a meno che non si usi un rifrattometro per calcolare l’esatto grado zuccherino della preparazione, il contenuto di zuccheri del prodotto finito non sarà mai uguale da una volta all’altra. Però si possono calcolare con ragionevole approssimazione i macronutrienti di ogni “mandata” in modo da poter inserire tranquillamente nel proprio piano nutrizionale anche una marmellata casalinga. L’intento di questo articolo è proprio questo, cioè di spiegare come si calcolano i macronutrienti della marmellata fatta in maniera tradizionale partendo dai valori nutrizionali della frutta.

Bisogna considerare che nella preparazione delle marmellate, la cottura della frutta ha lo scopo di farne evaporare la maggior parte del contenuto d’acqua e di concentrarne il contenuto zuccherino, perché queste due condizioni inibiscono la formazione di muffe e rendono il prodotto conservabile a lungo. Ma proprio per questo motivo non basta sommare i valori nutrizionali degli ingredienti di partenza per avere quelli del prodotto finito, perché l’evaporazione dell’acqua cambia tutte le proporzioni.

Inoltre ogni tipo di frutta ha una resa di peso diversa perché ha un contenuto d’acqua diverso; per esempio, le fragole sono più acquose delle mele e ci sono differenze anche fra varietà della stessa frutta che può essere più succosa o più tosta. Quindi non si può dire genericamente che la frutta perde il 50% del suo peso in cottura. Bisogna avere sempre bilancia e calcolatrice alla mano.

Quindi prima di iniziare la cottura bisogna annotarsi:
– il peso della pentola vuota
– il peso della frutta cruda e pulita (i valori nutrizionali che si usano per i calcoli si riferiscono a 100gr di parte edibile, cioè quello che rimane dopo aver tolto lo scarto).

Preparazione
Come ho già spiegato in precedenti articoli su questo blog, con il metodo classico di preparazione delle marmellate, cioè quello della cottura prolungata fino ad addensamento, qualsiasi sia la frutta scelta, si fa a pezzi grossolani le frutta mondata, la si mette su fuoco medio-alto in un tegame antiaderente con le sponde abbastanza alte perché in cottura la frutta rilascia tanta acqua che all’inizio schiuma e gonfia. Quando la frutta avrà rilasciato la propria acqua, si abbassa il fuoco e si continua la cottura a fuoco basso anche per 2-3h, cioè il tempo che ci vuole perché la frutta si asciughi il più possibile. Armarsi di santa pazienza e rimescolare regolarmente con un cucchiaio di legno o una spatola di silicone. Per una marmellata con una consistenza più regolare, frullare tutto con il frullatore ad immersione riparandosi adeguatamente dagli schizzi. A mano a mano che la marmellata si addenserà, tenderà sempre di più a schizzare sobbollendo quindi è buona cosa munirsi anche di un para-schizzi. Non si deve mettere il coperchio sulla pentola, altrimenti l’acqua che evapora dalla frutta continua a ricadervi dentro.

Il test per verificare il giusto punto di cottura della frutta consiste nel lasciar cadere dal cucchiaio/spatola una goccia di marmellata su un piatto, lasciarla raffreddare completamente e poi sollevare in verticale il piatto. Se la goccia cola, l’evaporazione dei liquidi non è ancora sufficiente. Quando la goccia non cola più, la marmellata ha raggiunto la densità giusta.

A questo punto si può aggiungere l’eritritolo. Per calcolare quanto metterne (con il duplice scopo di aggiungere dolcezza e di migliorare la conservabilità del prodotto perché l’eritritolo è un conservante al pari dello zucchero), bisogna verificare prima di tutto il peso della frutta cotta. Per evitare pericolosi travasi in ulteriori contenitori da lavare, posizionare sulla bilancia un robusto sottopentola e annotarne il peso; porre la pentola con la frutta sulla bilancia e sottrarre il peso del sottopentola e della pentola (pesata in partenza). Così avrete il peso della sola frutta cotta e potrete calcolare la quantità di eritritolo da aggiungere nella misura del 10-20% in base alle vostre preferenze di gusto. Quindi, per esempio, per 600gr di frutta cotta, 60-120gr di eritritolo.

Rimettere la pentola sul fuoco, mescolare bene e appena la marmellata riprende il bollore, spegnere immediatamente il fuoco. La marmellata dolcificata non deve bollire di più, perché, se la sua temperatura si alza fino a 121°C, l’eritritolo raffreddandosi cristallizzerà rendendo la marmellata immangiabilmente sabbiosa.

Pesare nuovamente la marmellata dolcificata (sempre ricordandosi di sottrare il peso di sottopentola e pentola) e annotare il peso complessivo prima di procedere all’imbarattolamento e alla sterilizzazione: barattoli preferibilmente piccoli , da 100 o 200gr, ben chiusi con capsule nuove, messi a mollo in una pentola in acqua fino a poco sotto il tappo, portati a bollore leggero e lasciati a sobbollire per un’ora, controllando che il bollore sia appena accennato, per avere la certezza di non salire troppo sopra i 100°C per preservare la struttura del dolcificante, ma neanche troppo sotto per non inficiare la sterilizzazione.

Calcolo dei macronutrienti
Ricordate che all’inizio bisognava pesare la frutta cruda? Questo perché abbiamo bisogno di sapere quante kcal, carboidrati, proteine e lipidi abbiamo messo in pentola. E’ vero che abbiamo aggiunto l’eritritolo, ma i suoi carboidrati sono tutti detraibili quindi non vanno aggiunti al calcolo. Per calcolare i valori nutrizionali della frutta cruda utilizzata si può usare una app tipo Ketonet (che consiglio vivamente) oppure fare il calcolo noi stessi usando i valori delle tabelle ufficiali DBA-IEO (Banca Dati della composizione degli Alimenti per studi epidemiologici in Italia – Istituto Europeo di Oncologia) che fanno riferimento a 100gr di frutta pulita e moltiplicandoli per gli ettogrammi di frutta che abbiamo utilizzato. I dati che otterremo saranno i valori nutrizionali del totale della marmellata prodotta, ché il peso di arrivo sarà pure diverso da quello di partenza, ma i nutrienti che c’erano prima ci sono tutti anche alla fine.

Per arrivare ai valori nutrizionali di 100gr di marmellata, basta semplicemente dividere ogni dato per il peso complessivo in grammi di marmellata (non di frutta cotta) e moltiplicarlo per 100:

Sembra complicato, è vero, ma io trovo che questo genere di calcoli faccia riflettere su quello che mangiamo, ci aiuti ad essere curiosi sulle caratteristiche del nostro cibo e ci educhi a scegliere in maniera consapevole la nostra alimentazione, che è forse la cosa più importante quando si fa una dieta. Infatti maturare senso critico ed autonomia è la chiave per mangiare sempre il giusto in base alle nostre esigenze nutrizionali, senza dipendere dai tanti “questo proibito” o “quello concesso” che si leggono in ogni dove, ma scegliendo facendoci guidare dalla nostra capacità di valutare le proporzioni per il nostro contesto.

Tataki di spada in crosta di sesamo

“Tataki” è un termine giapponese che definisce una rapida scottata superficiale alla griglia o alla piastra di un trancio di carne o pesce che poi si serve affettato più o meno sottile. E’ di fatto un equivalente dell’italianissima tagliata, con l’unica differenza, forse, che la tagliata non prevede panatura di sorta. In entrambe le cotture l’interno deve rimanere crudo.

Visto che ho usato il sesamo per la crosta, che è un ingrediente più comune nella cucina giapponese che in quella italiana, ho preferito usare il termine tataki. Se poi si aggiunge al sesamo un pizzico di shichimi togarashi (miscela di pepe, sesamo e scorze di agrumi disidratate, condimento tipicamente giapponese) la scelta del termine tataki sarà di sicuro quella più appropriata.

Questa preparazione è tecnicamente molto semplice, gustosa e visivamente d’effetto, così gratifica sia l’occhio che il palato.

Ingredienti (1 porzione):
180gr circa di pesce spada abbattuto
1 cucchiaio sesamo bianco
1 cucchiaio sesamo nero
shichimi togarashi q.b. (facoltativo)
sale

Acquistare una fetta di pesce spada spessa 3cm e dalla parte più lunga ricavarne due strisce larghe 3-4cm. Quello che avanza della fetta si può fare a cubetti e mettere da parte per farci un sugo o qualche altra preparazione.

Mischiare i semi di sesamo (e lo shichimi togarashi se lo usate) in un piatto. Premere i filetti sul sesamo perché vi si attacchi formando una panatura più coprente possibile. Il sesamo si attacca solo in virtù della naturale umidità superficiale dei filetti.

Scaldare una piastra o una padella su fuoco vivace senza ungerla. Appoggiare i filetti sul fondo caldo e cuocere 3-4 minuti per ogni lato. Allungate i tempi di cottura se non vi piace che l’interno rimanga troppo crudo o se il pesce non è stato abbattuto e quindi non può essere consumato crudo in sicurezza. Il sesamo che sarà a diretto contatto con la superficie calda di cottura, si tosterà scoppiettando ed emanerà il suo caratteristico profumo.

Terminata la cottura, togliere i filetti dalla piastra e far riposare qualche minuto primo di affettare in diagonale.

Posizionare sul piatto di servizio aprendo un po’ a ventaglio i pezzi del filetto, salare e servire accompagnato da una verdura a vostro piacimento.

In base al vostro piano nutrizionale potete calibrare voi la quantità di pesce da preparare. Qui sotto vi metto i valori nutrizionali del pesce spada:

Valori ricavati dalle tabelle ufficiali DBA-IEO e riportati dalla app Ketonet.

Per il sesamo, non sono sicurissima sui valori nutrizionali perché non è elencato nelle tabelle DBA-IEO. Quindi vi indico quelli riportati sulla confezione del sesamo Conad che ho utilizzato:

Bisquit/biscuit al cacao in 3 versioni

E dopo quello neutro, ci voleva anche il bisquit al cacao che ne è la naturale evoluzione. Anche questo, per venire incontro alle esigenze di tutti, l’ho declinato nelle tre varianti, così da avere anche la versione senza glutine. E notate che tutte e tre le versioni sono senza lattosio, né caseina, né soia.

Ingredienti (per un bisquit da 15×40 o 20x30cm)

Versione Sfarinato Ros Uni:
107gr albume (3 albumi)
50gr eritritolo
30gr inulina
59gr tuorlo (3 tuorli)
20gr Sfarinato Ros Uni de Il Pane di Rivalta
30gr cacao amaro Ar.Pa
0,2gr vanillina (mezza bustina)

Versione Ketomix Pasta:
107gr albume (3 albumi)
50gr eritritolo
30gr inulina
59gr tuorlo (3 tuorli)
20gr Ketomix Pasta
30gr cacao amaro Ar.Pa
0,2gr vanillina (mezza bustina)

Versione sole fibre (senza glutine):
107gr albume (3 albumi)
50gr eritritolo
30gr inulina
59gr tuorlo (3 tuorli)
10gr fibra di avena
10gr fibra di bambù
30gr cacao amaro Ar.Pa
0,2gr vanillina (mezza bustina)

Per il procedimento vi rimando a quello del bisquit neutro, con pochissime differenze: questa volta l’inulina l’ho aggiunta all’eritritolo quando ho scaldato e poi montato gli albumi, e ho setacciato il cacao con le altre polveri.

Per quanto riguarda le quantità di tuorli ed albumi, questa volta ho semplicemente pesato 3 albumi e 3 tuorli, solo per fare il calcolo ed il confronto dei valori nutrizionali delle tre versioni. Ok, c’è sempre l’annosa questione che le uova non pesano mai uguale e quindi dare i valori nutrizionali per 3 uova non è esattamente come dare tot gr di albume e tot di tuorlo. Ma l’intenzione era solo quella di mettere a confronto le tre varianti. Poi, se dovete spaccare il capello con il calcolo dei macronutrienti, quando realizzerete la ricetta dovrete pesare i grammi delle vostre 3 uova e rifare i calcoli.

Valori nutrizionali e ratio chetogenica:

Valori nutrizionali espressi in grammi al netto dei carboidrati dell’eritritolo e calcolati con la app #Ketonet.

N.B. Questi valori sono per l’intero foglio di biscuit al cacao. Una volta farcito adeguatamente e porzionato, i carboidrati per porzione dovuti al bisquit diventano irrisori.

Per questo riguarda l’aspetto estetico, la pasta biscotto al cacao da cotta risulta bella scura e contrasta meravigliosamente con una farcia bianca candida. Che ne dite di farci un keto-pinguì o una keto-girella?

Pasta bisquit in 3 versioni

Compro sempre le uova a due dozzine per volta, ma ultimamente ne compro persino di più perché ne sto usando molte per i miei esperimenti di pasticceria. Frusta inserita, Kenwood che frulla a tutta potenza e forno acceso di conrabbando in barba al caldo di questi giorni, sto cercando di impratichirmi nei bisquit e ne sto facendo diverse varianti, sia per dolci cheto che standard (questi ultimi per farmi perdonare dalla famiglia che si sorbisce il rombo del Kenwood a velocità massima e si trattiene pazientemente dal protestare…).

La pasta bisquit ha la caratteristica di essere larga e sottile, praticamente un foglio di pasta spugnosa, da tagliare nella forma che si preferisce per fare dolci a strati o da usare come base per semifreddi o bavaresi. E’ parente stretto del Pan di Spagna ma non ha bisogno di essere affettato perché nasce già sottile

Per ora ho sperimentato con successo 3 cheto versioni di bisquit neutro. Al primo, fatto il mese scorso con lo Sfarinato Ros Uni e che avevo usato per la naked cake del mio compleanno, ne ho aggiunto uno con la Ketomix Pasta e poi pure una versione gluten free con sole fibre. Su quest’ultima ero un po’ dubbiosa, lo confesso, temevo che venisse stopposa e invece è venuta buona, di sicuro perché nel bisquit la farina è un ingrediente minoritario e quindi non caratterizza tanto il gusto quanto piuttosto la struttura del dolce.

A proposito della quantità di uova, mi sono resa conto che non è necessario sottilizzare maniacalmente sui grammi di tuorlo e di albume indicati in ricetta. Se se ne mettono 5-10gr in più rispetto alle quantità indicate si può chiudere un occhio e lasciarli, perché comunque è l’uovo che regge il successo del bisquit, con la sua montata spumosa che trattiene l’aria e che lo fa gonfiare in cottura, quindi se si abbonda un pochino per non lasciare micro-avanzi in frigo va bene ugualmente.

Ingredienti (per un bisquit da 15×40 o 20x30cm)

Versione Sfarinato Ros Uni:
100gr albume
60gr eritritolo
70gr tuorlo
40gr Sfarinato Ros Uni de Il Pane di Rivalta
20gr inulina
0,2gr vanillina (mezza bustina)
1gr scorza grattugiata di limone (mezzo limone piccolo)

Versione Ketomix Pasta:
125gr albume
66gr eritritolo
66gr tuorlo
30gr Ketomix Pasta di KFT Keto Food Therapy
38gr inulina
0,2gr vanillina (mezza bustina)
1gr scorza grattugiata di limone (mezzo limone piccolo)

Versione sole fibre (senza glutine):
110gr albume
50gr eritritolo
55gr tuorlo
10gr fibra di avena
10gr fibra di bamboo
30gr inulina
0,2gr vanillina (mezza bustina)
1gr scorza grattugiata di limone (mezzo limone piccolo)

Da notare che tra gli ingredienti non c’è il lievito, che nel bisquit non si mette, perché l’aria incorporata nella montata degli albumi è sufficiente a ottenere un prodotto leggero e spugnoso.

Prima di iniziare ad impastare, bisogna preparare quattro cose: preriscaldare il forno a 175-180°C; setacciare insieme farine/fibre, inulina e vanillina; mescolare brevemente la scorza grattugiata e i tuorli; foderare uno stampo da 20×30 con carta da forno (non basta imburrare la teglia e neppure infarinarla, altrimenti sarà impossibile sformare il bisquit).

La dimensione della teglia rispetto alla quantità degli ingredienti è importante perché, se l’impasto una volta steso è troppo sottile o troppo spesso, la cottura darà un risultato inadeguato. Per avere fogli di pasta bisquit ben squadrati, io mi sono procurata una teglia con i bordi bassi e perpendicolari che misura 30x40cm, che in realtà è grande il doppio rispetto alle quantità di ingredienti che ho messo in ricetta. Semplicemente ripiego la carta da forno in modo da ridurne a metà lo spazio da riempire ed il gioco è fatto. Certo, un lato del bisquit viene un po’ stortino perché la sponda di sola carta da forno un po’ spancia, ma tanto poi da cotto il bisquit va rifilato, quindi poco importa.

Mettere albumi ed eritritolo in un pentolino e portare a 40-45°C su fuoco medio mescolando per far sciogliere l’eritritolo. Non c’è il rischio che l’albume si cuocia in questa fase perché l’eritritolo gli impedisce di coagulare. Questa procedura facilita il passo successivo di montare a neve gli albumi con la frusta ottenendo una spuma ferma e lucida. Attenzione a non montare eccessivamente, che se la montata diventa troppo dura (tipo la schiuma del bagnoschiuma) poi non si riesce a miscelarla uniformemente con gli ingredienti successivi.

Una volta montati a neve gli albumi, aggiungere a filo i tuorli aromatizzati con la scorza, incorporandoli a mano negli albumi con una spatola con un movimento dal basso verso l’alto. Sempre incorporando a mano con la spatola aggiungere a poco a poco le polveri setacciate insieme fino ad ottenere un impasto omogeneo e spumoso.

Versare l’impasto nella teglia foderata, distribuirlo bene fino negli angoli in uno spessore ben uniforme di circa 2 cm usando un tarocco o una lama, senza sbattere la teglia, altrimenti la montata si sgonfia. Attenzione che l’impasto sia ben livellato, altrimenti a causa degli eventuali avallamenti il foglio di bisquit avrà cottura e consistenza disomogenei.

Infornare subito in forno caldo a 175-180°C per non più di 8-9 minuti . Di solito i bisquit classici si cuociono a temperature più alte e per meno tempo, ma in queste ricette la proporzione tra ingredienti umidi ed ingredienti secchi fa partire la cottura con un alto grado di umidità a cui bisogna dare il tempo di evaporare quel tanto che serve ad ottenere una spugna stabile ma flessibile. Inoltre per l’eritritolo 180°C sono già tanti se si considera che sopra i 160°C imbrunisce e comincia a cambiare sapore. Durante la cottura il bisquit si gonfierà per effetto dell’aria inglobata negli albumi montati e poi, una volta sfornato, si sgonfierà e tornerà all’altezza iniziale, ma è giusto così. Diventerà un foglio spugnoso con alveoli molto piccoli. Appena sfornato è ancora abbastanza umido all’interno. Se lo si tasta, l’impronta ci mette un paio di secondi a sparire e fa un leggero crepitìo.

Una volta raffreddato questo tipo di bisquit si sgonfia.

Lasciare raffreddare nella teglia coperto con uno strofinaccio prima di rovesciarlo su un altro foglio di carta da forno e pelare via la carta forno della cottura con delicatezza per evitare che la pasta si rompa..

Se si vuole provare a farci un rotolo farcito, bisogna ridurre di un 1 minuto il tempo di cottura, perché, se il bisquit è troppo asciutto, arrotolandolo si spacca. Si rompe anche se è troppo spesso rispetto allo strato di farcia, che deve essere spesso quanto il foglio di bisquit se non di più.

Valori nutrizionali e ratio chetogenica:

Valori nutrizionali espressi in grammi al netto dei carboidrati dell’eritritolo e calcolati con la app #Ketonet.

La ratio non è alta, ma nemmeno i carboidrati. Sarà la farcitura a rendere pienamente chetogenici questi bisquit.

N.B. Tutte e tre le varianti non contengono latticini, quindi sono adatte per chi è intollerante/allergico a lattosio e/o caseina. Inoltre non contengono soia e la versione con sole fibre è pure senza glutine.

Marmellata di fragole senza zucchero con eritritolo

La marmellata di fragole senza zucchero era stata il primo esperimento di confettura di frutta preparato con l’eritritolo tre anni fa ed era stata anche un’immane delusione: l’eritritolo cristallizzato molto grossolanamente aveva trasformato la mia marmellata in un barattolo di pietre di dolcificante avvolte da un velo di frutta. Una cosa immangiabile e una gran arrabbiatura per me che non amo gli sprechi.

Dopo un secondo tentativo finito allo stesso modo (anzi, con doppia arrabbiatura per la recidiva nello spreco), avevo deciso che la marmellata di fragole l’avrei fatta solo con il sucralosio e ho pubblicato la ricetta.

Da allora ho cercato di documentarmi sulle proprietà e sul comportamento fisico dell’eritritolo e sono arrivata alla conclusione che il problema doveva stare nella temperatura raggiunta in cottura. L’eritritolo infatti fonde completamente a 121°C e al di sotto di questa temperatura cristallizza, tornando stabile a 43°C.

Siccome faccio le marmellate con il metodo tradizionale della lunga cottura della frutta, sospetto che la temperatura raggiunta dalla miscela nella lunga ebollizione denaturasse la struttura dell’eritritolo e compromettesse la fluidità della confettura una volta raffreddata.

Questa volta ho provato ad aggiungere l’eritritolo solo a fine cottura in quantità pari al 10% del peso della frutta a crudo (cioè 50gr di eritritolo per 500gr di fragole), fatto barattoli piccoli da 100 e 200gr, chiusi con capsule nuove e sterilizzati a mollo in acqua appena bollente fino a poco sotto il tappo per un’ora, controllando che il bollore fosse appena accennato, per avere la certezza di non salire sopra i 100°C per preservare la struttura del dolcificante ma neanche troppo sotto per non inficiare la sterilizzazione.

E ha funzionato! La confettura è rimaste densa e cremosa, senza cristalli duri. Questa cosa mi entusiasma anche perché l’eritritolo è un ottimo conservante al pari dello zucchero, quindi questa confettura si conserva bene anche fuori frigo, purché naturalmente i barattoli raggiungano il sottovuoto con la sterilizzazione.

I valori nutrizionali sono analoghi a quelli della mia marmellata con il sucralosio. Anzi, un po’ più bassi, perché l’eritritolo aggiunge peso/volume ma non ha carboidrati disponibili.

Ovviamente ho già ordinato altre fragole.

E ovviamente ho già aperto il primo barattolo. Ed il risultato mi guarda dal frigorifero…

Cheto-tortine al limone

Questa è la variante al limone delle tortine al mandarancio che avevo fatto prima di Natale. Questa l’ho fatta utilizzando la salsa al limone della settimana scorsa, che è la versione meno cotta (e più fluida) della marmellata.

Ingredienti (per 8 tortine):
160gr farina di mandorle
13gr inulina
4 uova
210ml salsa di limone pronta (che equivale alla purea di 250gr di limone crudo con 75gr di eritritolo)

Tra gli ingredienti di questa ricetta manca volutamente il dolcificante perché è sufficiente quello contenuto nella salsa di frutta.

Sbattere con una frusta tutti gli ingredienti. Suddividere l’impasto in 8 pirottini e cuocere in forno a 160°C per 30′ minuti. Non bisogna alzare la temperatura neanche se il dolce dovesse gonfiare poco per evitare che imbrunisca troppo in superficie per via dell’eritritolo. Anzi, se si colorisce troppo in fretta, abbassare la temperatura a 150°C gli ultimi 10 minuti.

Servire fredde e conservare in frigorifero perché rimangono abbastanza umide.

I valori nutrizionali anche questa volta non sono facili da calcolare, perché i valori relativi ai limoni interi non sembrano essere disponibili. Osservando però i dati disponibili sulla polpa del limone, il limone ha meno carboidrati di mandaranci e arance, quindi i calcoli che avevo fatto per le tortine al mandarancio saranno sicuramente applicabili (in eccesso) anche a questa preparazione:

Valori per 1 di 8 tortine:
Kcal 184,37 approx
Carboidrati: 4,32gr approx (comunque al netto dei carboidrati dell’eritritolo)
Proteine: 9,34gr approx
Grassi: 13,25gr approx

Ratio chetogenica prossima a 1.

Viste le incertezze dei calcoli, questa ricetta non è indicata per chi ha appena intrapreso la dieta chetogenica e ha bisogno di dati estremamente precisi per rientrare nei propri macro giornalieri. Ma se siete proprio proprio tentati, vista anche l’estrema semplicità della preparazione, chiedete assistenza al vostro specialista della nutrizione per una valutazione.